[Articolo già pubblicato su Specularia Numero Zero]
Nonostante i successi ottenuti in vita, Chiara Palazzolo rimane una figura poco conosciuta. Autrice raffinata, fuori dal canone, Palazzolo ha raccontato – attraverso una scrittura colloquiale e innovativa, capace di fare della punteggiatura la propria cifra stilistica – mondi surreali, atmosfere gotiche, vicende perturbanti di grande suggestività, tanto da venire subito riconosciuta, pur con le poche pubblicazioni che ha potuto donare ai lettori, come una delle migliori autrici italiane di fantastico.
Nel 2012, anno della sua morte, Chiara Palazzolo era considerata una delle migliori firme italiane dell’horror d’autore1, definizione dalla quale l’autrice si sentiva lusingata, per quanto, allo stesso tempo, non desiderasse rimanere chiusa nelle convenzioni del genere. In un’intervista2, la scrittrice ha dichiarato: “La questione dei generi, secondo me, è poco rilevante. In fondo, si può scrivere di tutto. Dipende dall’ispirazione. Ogni romanzo nasce, o dovrebbe nascere, da un’idea forte – l’ispirazione appunto.”
Il particolare rapporto che Palazzolo ha avuto con il genere (non di conflitto, ma piuttosto di dialogo), ha fatto sì che la scrittrice, nelle sue opere, conferisse al fantastico una declinazione originale, sia a livello tecnico che stilistico, utilizzandolo per far emergere contrasti, generare suggestioni e creare metafore della società e della contemporaneità.
Nata a Catania nel 1961, Chiara Palazzolo si trasferisce a Roma dopo la laurea in scienze politiche. Esordisce nel 2000 con La casa della festa (Marsilio); successivamente scrive i romanzi I bambini sono tornati (2003, Piemme), Nel bosco di Aus (2011, Piemme), Amor Panico (2017, Lorenzo de Medici Press, pubblicato postumo) e alcuni racconti, tra cui Plastic (2008, Mondadori, nell’antologia “I confini della realtà”) e Ragazza che passa (2012, Speechless Magazine n.1).
È però con la trilogia di Mirta-Luna, scritta tra il 2005 e il 2007 e composta dai romanzi Non mi uccidere, Strappami il cuore e Ti porterò nel sangue, che Chiara Palazzolo raggiunge il grande pubblico.
Dal primo romanzo della saga, Non mi uccidere, è stato tratto anche un film, girato da Andrea De Sica e attualmente disponibile su Netflix. Sebbene vi siano molte differenze tra il libro e la sua trasposizione cinematografica (come è inevitabile che sia), l’approdo su una piattaforma di streaming ha risvegliato, in Italia, l’interesse verso la trilogia di Palazzolo.
Ambientata in Umbria, alle pendici del Subasio, la saga narra la vicenda di Mirta, una ragazza di vent’anni nata da genitori benestanti. Mirta studia Lettere all’università, vive con le sue migliori amiche ed è innamorata di un ragazzo bellissimo, Robin, più grande di lei di dieci anni e con una dipendenza dall’eroina. Per amore, e per paura che Robin possa lasciarla sola, la ragazza inizia a drogarsi insieme a lui, finché una notte una dose letale causa la morte di entrambi. I due giovani vengono sepolti vicini, ma Mirta si risveglia, distrugge la bara in cui si trova e scopre di essere diventata una sopra-morta, una creatura a metà tra vampiro e zombie che si nutre di carne. Mentre aspetta che Robin la raggiunga nella vita oltre la morte, Mirta inizia a vagabondare per i boschi, in compagnia di una sorta di spirito-guida, scoprendo che il mondo dei “ritornati” ha regole tutte sue, e trovandosi presto perseguitata dai Benandanti, un gruppo di persone che ha il compito di eliminare i sopra-morti.
Una sfortunata vicenda promozionale ha fatto sì che i romanzi di Mirta-Luna venissero accostati a Twilight, essendo Non mi uccidere uscito nel 2005, lo stesso anno in cui è stato pubblicato anche il primo romanzo della saga di Stephanie Meyer.
Le due opere però sono molto diverse, sia a livello tematico che stilistico. Intanto, quando Chiara Palazzolo scrive il primo romanzo della trilogia di Mirta-Luna, in Italia non si è ancora diffuso il fenomeno del paranormal romance, e si era ancora lontani da ciò che la propagazione di questo genere avrebbe comportato: l’enorme successo tra gli adolescenti e la nascita di una serie di saghe-clone con vampiri, zombie, licantropi e così via.
Ci sono però anche altri e più significativi aspetti che rendono queste trilogie due opere di natura differente. Se la premessa di Non mi uccidere sembra quella di una vicenda come tante, la ragazza inesperta innamorata di un ragazzo pericoloso, il percorso che la protagonista compie nello svilupparsi della vicenda prenderà altre direzioni e deviazioni. Mentre infatti nella prima parte della sua vita da sopra-morta Mirta si dispera e continua a invocare l’amore della sua vita, in seguito inizierà a cercare da sola la strada per la libertà e l’indipendenza: non soltanto nella conquista di un nuovo equilibro nel mondo dei morti (equilibrio che passa anche attraverso l’imparare a gestire gli istinti di sopravvivenza e a usare la violenza), ma anche nel progressivo abbandono delle figure maschili di riferimento a cui è rimasta aggrappata in vita. A cominciare da Robin, che le ha promesso di ritornare dalla morte e invece l’ha lasciata sola nell’aldilà. Questo processo porterà Mirta ad abbracciare la sua nuova natura e a diventare Luna, la creatura che incarna la rabbia che la ragazza ha provato in vita, la parte animalesca, affamata e assassina.
Un altro elemento di differenza, forse il più evidente, è la scrittura attraverso cui viene narrata la vicenda di Mirta. Lo stile di Palazzolo è uno degli aspetti che caratterizzano maggiormente la narrativa di quest’autrice, e anche quello che, di solito, colpisce di più i suoi lettori.
Fortemente amante della sperimentazione linguistica, Palazzolo crea la narrazione attraverso lo stile, utilizzando un linguaggio innovativo che si svincola dalle convenzioni. In apparenza semplice, ma in realtà estremamente elaborata, la scrittura di Chiara Palazzolo utilizza punti, trattini lunghi, maiuscole, sequenze di frasi brevissime per creare pause, sospensioni, singhiozzi, flussi sincopati e spezzati. Sul modello di grandi autori come Cormac McCarthy e José Saramago, l’autrice abbandona alcune convenzioni letterarie, come l’utilizzo delle virgolette nei dialoghi, e fa uso di una paratassi strettissima, senza mai perdere fluidità e scorrevolezza. Da un lato generando un’esperienza di lettura unica e trascinante, dall’altro, funzionando come vero e proprio motore della storia. Nei romanzi di Mirta-Luna sono i pensieri della protagonista, la sua capacità/incapacità di parlare, la frammentarietà dei ricordi e il loro progressivo ricostituirsi, a far scaturire la storia. Il romanzo è la sua voce, gli stati interiori che attraversa nella transizione verso la sua nuova condizione di “ritornata dalla morte”. Non mi uccidere, e i romanzi successivi, sono giocati sulla struttura (e la de-strutturazione) del linguaggio, in un’operazione che da un lato racconta in modo originale i temi della storia – il cambiamento, la solitudine, lo straniamento, la disperazione –, dall’altro coinvolge e appassiona il lettore.
Probabilmente non è un caso che lo “spirito guida” che accompagna Mirta nel suo viaggio sia il fantasma di Ludwig Wittgenstein (che lei chiama amichevolmente “Witt”), un filosofo del linguaggio. L’interazione tra Witt e Mirta è un esperimento che Palazzolo compie sia per far emergere meglio la voce di Mirta (è lui che, stimolandola con domande e richieste, contribuisce a generare il linguaggio frantumato), sia per scoprire come sarebbe stato far dialogare una ragazza del Duemila con uno dei massimi esponenti della filosofia del Novecento. Ma Ludwig Wittgenstein è soltanto uno degli elementi culturali alti che Chiara Palazzolo è solita inserire nei suoi romanzi: un altro, presente nella trilogia, sono le figure dei Benandanti, derivanti dall’opera di Carlo Ginzburg I benandanti. Stregoneria e culti agrari tra Cinquecento e Seicento (1966), testo in cui vengono analizzati questi personaggi metà eretici metà eroi popolari.
E forse sono proprio questi gli aspetti che più distinguono l’opera di Palazzolo dal filone del paranormal romance: la contaminazione con elementi filosofici e antropologici e la declinazione letteraria conferita a questo genere di consumo spesso costituito da opere stereotipate. Riuscendo nella non facile impresa di attirare sia gli appassionati del paranormal romance, sia una platea più ampia di lettori.
Rileggendo oggi la trilogia di Mirta-Luna, ci si rende conto di come non solo i romanzi che la compongono non assomigliano affatto a Twilight, ma si ha anche l’impressione che Palazzolo abbia instaurato con il paranormal romance un rapporto interlocutorio, orientato al sovvertimento dei cliché del genere, con un anticipo decisamente ampio rispetto a quando quest’ultimo si è diffuso.
I romanzi della saga di Mirta-Luna raccontano una storia cupa, che parla di perdita, assenza, morte. E di rabbia, soprattutto quella dei giovani, che Palazzolo identifica come il segno distintivo dei primi anni del 2000 e del mondo dopo la tragedia delle Torri Gemelle. È l’autrice stessa a riconoscere che la sua trilogia affonda le radici nell’attacco terroristico del 2001 a New York, l’evento “simbolo” del passaggio di millennio: un cambiamento epocale che è andato a sommarsi ad altre situazioni di instabilità politiche e sociali globali. Come nota Giuliana Misserville in Donne e fantastico, una situazione di questo tipo configurava la situazione ideale, in ambito letterario, per il ritorno della figura del vampiro (specchio, fin dal diciottesimo secolo, dei periodi di crisi). Solo che, sottolinea sempre Misserville, con il passaggio di millennio il vampiro cessa di essere soltanto una rappresentazione del male assoluto, ma diviene una figura che suscita domande sull’umano. Nel caso dei romanzi della trilogia di Palazzolo, questi interrogativi riguardano soprattutto la possibilità di riuscire a orientarsi in un mondo diventato incomprensibile, in cui le nuove generazioni sono lasciate sole, chiuse in tante panic room e isolate nella rabbia e nella paura.
In un’intervista3 condotta da Loredana Lipperini, Chiara Palazzolo dichiara: “Io ho immaginato un non-horror mentre scrivevo. Cioè, impostate le premesse ‘soprannaturali’, il resto è assolutamente realistico. E realistici sono i sentimenti. Quello che mi sono chiesta è stato: che cosa si prova davvero a tornare sulla terra da morti? Non mi interessava per niente una risposta ‘di genere’, ma una risposta esistenziale. Ho lasciato che questa ipotesi si incarnasse nei personaggi, e loro mi hanno fornito delle risposte. Senso di onnipotenza, per alcuni, persino senso di responsabilità per altri, ma anche infinita angoscia. E tra questi Mirta-Luna. Questa ragazza angosciata è quanto di più realistico possa esistere. Non riesco neanche a considerarla un personaggio. Mirta è un grido di aiuto”.
La capacità di Chiara Palazzolo di utilizzare gli elementi gotici per indagare la realtà contemporanea e la società si ritrova anche nei suoi altri romanzi.
Già ne La casa della festa, la sua opera d’esordio, sono presenti delle anticipazioni delle atmosfere gotiche che ritroviamo più accentuate nei lavori successivi. Sebbene qui l’elemento fantastico sia meno pronunciato, risulta già evidente il modo con cui l’autrice dialoga con il genere e lo utilizza per analizzare la natura umana. La vicenda si svolge nell’arco di una nottata, durante una cena a casa di una famiglia borghese di Roma, organizzata per lanciare la carriera di un giovane scrittore. La festa, le vicende dei vari ospiti e le strane apparizioni che iniziano a manifestarsi sono lo spunto per un’indagine dello stile di vita borghese, della follia, del tradimento, del rimpianto.
Ne I bambini sono tornati, romanzo finalista al Premio Strega, Chiara Palazzolo porta il fantastico su sentieri poco battuti, mescolando presenze e atmosfere inquietanti con la banalità e la noia della provincia italiana. La trama vede una giovane madre, appartenente a una famiglia benestante, perdere i figli in un tragico incidente. Poco dopo, alcune apparizioni nelle stanze della villetta in cui vive le faranno venire il dubbio che i bambini siano, in qualche modo, tornati dall’aldilà.
La provincia italiana emerge attraverso le amicizie (in questo caso, soprattutto quelle maschili), gli intrighi sociali e politici, i luoghi comuni su donne e uomini. Palazzolo utilizza l’elemento gotico per far emergere l’ipocrisia, la vacuità dei rapporti umani, la brutalità degli equilibri di potere. Equilibri che si definiscono sempre in occasioni banali, come le “tavolate” al ristorante in cui amici di vecchia data consumano pasti in una gelida allegria, e nelle quali l’irrompere del fantastico rischierà di far crollare la facciata che nasconde l’orrore: l’infelicità nascosta in vite coniugali apparentemente perfette, la crudeltà dietro a relazioni amicali costellate di menzogne e tradimenti.
Lo stesso orrore del quotidiano lo ritroviamo anche nel romanzo Nel bosco di Aus, candidato allo Strega.
La protagonista, Carla, è un’insegnante con tre figli e un marito in carriera sempre fuori per lavoro. In seguito al trasferimento in una villa vicina a un bosco, Carla inizia a frequentare la “vicina di proprietà”, Amanda, un’anziana possidente che vive da sola e sulla quale girano molte storie. Il rapporto con Amanda, più alcuni strani accadimenti che si verificano nella cittadina in cui la protagonista abita, inizieranno a far sprofondare tutto nell’incubo.
È in questo romanzo che Palazzolo rivisita l’archetipo della strega, utilizzando l’elemento mostruoso, anche in questo caso, come specchio di oscurità ben peggiori. Capire chi o cosa sia il Male in Nel bosco di Aus non è affatto semplice, e gli equilibri costruiti dall’autrice portano a chiedersi cos’è che faccia più paura: se le streghe o il flusso di eventi insignificanti che costituiscono la quotidianità delle vite “normali”.
Carla è catturata in una morsa di impegni, lavora come una dannata, passa le giornate a correre da una parte all’altra della città per recuperare i figli, pulisce casa, si scapicolla per far trovare pranzo e cena in tavola alla famiglia. Per la frustrazione, spesso picchia duramente il figlio più piccolo, Albertino, che poi sfrutta il senso di colpa della madre per farsi comprare dei regali. In questo contesto, la casetta sperduta nel bosco di Aus in cui Carla gioca a lunghi giri di burraco in compagnia di Amanda e di altre donne (che forse sono streghe, forse no) appare non come lo sconvolgimento di una situazione di serenità e l’inizio dei guai, ma come una conseguenza di un incubo pre-esistente. La sensazione non cambia neppure quando nella casa iniziano ad aleggiare le figure delle streghe e di Ecate, la dea dell’oscurità, e il burraco cesserà di essere un gioco per diventare una contesa tra la vita e la morte.
Le streghe di Nel bosco di Aus sono spiazzanti nel modo con cui manifestano le loro pulsioni più profonde, la paura, la vendetta, la ferocia. Ma anche quello con cui vivono il proprio corpo, che nel romanzo rappresenta la “sede del potere”. Il tema del corpo ha sempre rivestito un ruolo importante nelle opere della scrittrice. In un’intervista4, Palazzolo dichiara: “Il corpo ha un’importanza fondamentale, e crescente, nei miei romanzi. Per rubare un celebre titolo di Jeanette Winterson, una delle scrittrici che più amo, i miei romanzi sono scritti col corpo. Anzi, per essere esatti, sono scritti con quella ‘mente incorporata’ che è il portato ultimo della filosofia del linguaggio”.
Uno dei grandi temi di Il bosco di Aus è proprio il rapporto tra il corpo e l’intelletto, la loro necessaria coesistenza perché si possa essere completi. Il corpo non può funzionare senza la mente, ma la mente si trova a essere influenzata dal corpo in cui risiede.
Palazzolo aveva iniziato una riflessione sulla corporeità già nella trilogia di Mirta-Luna, con la trasformazione fisica della protagonista da sopra-morta, il graduale adattamento a un nuovo corpo dotato di capacità e istinti sconosciuti, ma anche con le personalità ignote annidate in esso. In Nel bosco di Aus il discorso viene ulteriormente sviluppato, portando la narrazione ben oltre la retorica legata al corpo (soprattutto quello femminile), ma purtroppo l’autrice non riuscirà a portarlo più avanti di così, a causa della sua morte sopraggiunta l’anno dopo la pubblicazione di questo romanzo.
A distanza di dieci anni dalla sua morte, Chiara Palazzolo appare come una scrittrice precocemente, e ingiustamente, dimenticata. Tuttavia, nonostante l’assenza del suo nome nelle librerie, esiste una piccola nicchia di lettori che continua ad amarla, ricordarla, leggere le sue opere e parlarne online.
Da queste discussioni, intorno alle quali c’è sempre un grande entusiasmo, emerge forte il desiderio di veder tornare a circolare le sue storie. E senz’altro, dato il suo valore come autrice, lo meriterebbe: per la sua abilità di comunicazione, il coraggio di esplorare il linguaggio, la capacità di rielaborare il genere e scandagliarne tutte le potenzialità oltre le convenzioni, l’aver dimostrato che il fantastico può essere letterariamente alto e includere la sperimentazione linguistica.
In questo momento il libro più facilmente reperibile di Palazzolo è Non mi uccidere, tornato disponibile dopo l’approdo del film su Netflix. Gli altri romanzi, purtroppo, sono scomparsi dai circuiti di vendita, ma il consiglio è di cercarli nell’usato, oppure in biblioteca, dove solitamente sono disponibili.
L’auspicio è che, a fronte della visibilità cinematografica di Non mi uccidere, ma anche del gran numero di fan e affezionati che apprezzano Chiara Palazzolo, i romanzi di quest’autrice vengano presto ripubblicati e si possa tornare a leggerli e amarli. E che si riesca a riscoprire una delle autrici italiane di fantastico più brave di sempre: perché ne vale assolutamente la pena, e ce ne sarebbe bisogno.
1 La definizione è di Roberto Russo, nell’articolo pubblicato all’indirizzo: https://web.archive.org/web/20170507085947/http:/www.booksblog.it/post/16325/addio-a-chiara-palazzolo-grande-autrice-di-fantastico-in-italia
2 Il testo intero dell’intervista è consultabile sul sito scheletri.com, all’indirizzo: https://www.scheletri.com/vip/chiara-palazzolo.htm
3 L’intervista di cui fa parte questo estratto non ha una trascrizione, Loredana Lipperini ha però riportato la frase citata in un articolo, consultabile all’indirizzo: https://www.repubblica.it/venerdi/2021/05/06/news/non_mi_uccidere_film_chiara_palazzolo_romanzo_horror_gotico-298304326
4 Il testo intero dell’intervista è consultabile all’indirizzo: https://web.archive.org/web/20131227110918/http:/ovunquelibri.com/2012/04/24/intervista-a-chiara-palazzolo-non-mi-uccidere
L’autrice
Linda De Santi ancora oggi si sorprende di aver vinto il premio Urania Short e il premio Robot. Di mestiere analizza e dispone le parole, soprattutto quelle chiave, secondo la mutevole legge dell’algoritmo di Google. Fa parte della redazione di Specularia e odia parlare di sé in terza persona.
Illustrazione di copertina di Benedetta Baroni