L’ufficio era arredato in modo minimale. Pareti di un bianco ghiaccio, mobili dal taglio pulito e funzionale; l’unico colore caldo era quello della moquette color nocciola. Una larga vetrata sul muro di destra restituiva il contrasto tra il cielo rossastro e il profilo dentato della megalopoli industriale. Thomas vide le sue dita agguantare la sedia girevole dal profilo futuristico e avvicinarla a sé, ma gli sembrava appartenessero a un altro.
Doveva riconoscere, almeno, che da quell’ufficio trasudava un certo buon gusto. Lo stesso tipo di eleganza era irradiato dalla figura seduta di fronte a lui, dietro a una scrivania di vetro smerigliato occupata da un singolo schermo trasparente. Giacca e pantaloni del completo riprendevano il nocciola della moquette. Sotto, la camicia bianca di seta morbida aveva il look in apparenza semplice dei capi di design.
Il Presidente della Theos accavallò le gambe e incrociò le mani in grembo, mentre lo guardava; o almeno Thomas supponeva lo stesse guardando, dalla sua testa a forma di tetraedro rotante. A quella considerazione la figura vibrò, aumentando i suoi lati fino a diventare un dodecaedro. Era straniante vedere un corpo umano senza la testa. Da sotto la camicia partiva un collo assolutamente normale, che si interrompeva in una nebbiolina grigiastra. In quell’alone volteggiava la figura geometrica; i suoi lati ogni tanto sfarfallavano come uno di quei prototipi di ologramma o i primi esempi di realtà virtuale.
Il Presidente appoggiò la schiena contro la sedia reclinabile acquisendo una postura rilassata.
«Buonasera, signor Wolnmann. L’ho già salutata?»
Thomas si ritrovò a pensare che quella voce, per niente spiacevole, suonasse geometrica. Scosse la testa: no, quella era la prima volta che parlava da quando l’assistente digitale gli aveva aperto la porta dell’ufficio.
«Tendo a fare molta confusione con le parole. Non ricordo mai se ho parlato ad alta voce o se ho solo pensato. A lei capita?»
«No» disse Thomas, sentendosi la gola secca; la sua lingua sembrava un rettile decrepito e pesante. Nonostante i mesi di preparazione, non era più sicuro della sua missione. Lottò per riprendere il controllo della sua oratoria. «No, non mi capita spesso.»
«Le dispiace se ci diamo del tu?»
Di nuovo si trovò a scuotere la testa. «Penso sarebbe poco appropriato.»
«Sia.» Il dodecaedro rallentò, rivolgendo una delle facce verso la finestra. Thomas portò le mani alla valigetta e ne estrasse il dispositivo: un apparato di registrazione ambientale. Era un modello antiquato, un po’ ingombrante.
«Sono stupito che mi abbia concesso questa intervista» si sentì dire, con un tono di voce che gli sembrò alieno. Stupido, pensò. Doveva riprendersi. Con naturalezza, appoggiò il registratore sulla scrivania di vetro. «Lei è conosciuto per essere elusivo.»
«Oh, niente affatto. Sono conosciuto per l’esatto contrario.» La testa a dodecaedro tornò a ruotare, emettendo una nuova voluta di nebbiolina bianco-dorata. «Ma ammetterò che, statisticamente parlando, non rispondo a molte delle domande che mi vengono poste. In questo senso il nostro incontro di oggi è originale.»
«Le dispiace se registro?» chiese.
«Prego, si figuri.» Il dodecaedro si contrasse in una figura irregolare a cui non avrebbe saputo dare un nome. Thomas premette il pulsante al lato del dispositivo e lanciò un’occhiata all’orologio. Venti minuti.
«Sono Thomas Wolnmann, freelancer per il Weisster Journal. Questa sera mi trovo nella sede terrestre della Theos, dove l’amministratore delegato, anche noto come Dio, mi ha concesso un’intervista» la frase di apertura riuscì a calmarlo, a forza di provarla l’aveva fatta diventare una routine. «Vorrei iniziare con qualcosa di semplice.»
«Certamente.» La testa geometrica, che in quel momento era una sfera, annuì; ovvero si abbassò nella maniera in cui si sarebbe abbassato un mento umano. «Anche io iniziai così.»
Thomas cacciò la saliva in gola. «L’arrivo della Theos è per certi versi storia recente. Dalla vostra apertura, dieci anni fa, siete saliti velocemente tra le vette dei colossi del mercato. Siete diventati argomenti di studio in molte facoltà di economia: ci si riferisce a voi come al nuovo modello di capitalismo multiplanetario.»
Dio si inclinò in avanti, la sua testa vibrava come per un colpo di tosse. Sotto il suo sguardo, la figura che riempiva la camicia cambiò di forma, le spalle diventarono più strette, il petto si riempì di un seno, le mani rimpicciolirono e la pelle prese il colore del mogano. L’aveva visto succedere decine e decine di volte in streaming sull’internet satellitare. Teologi si erano consumati nel tentativo di interpretare la capacità di Dio di emulare corpi umani di qualsiasi forma, genere, sfumatura, età. Come un trasformista particolarmente abile, sempre pronto a stupire il suo pubblico. Ma assistere di persona al cambiamento aveva un che di fastidioso, come un prurito in una parte inaccessibile della schiena.
«Ho l’impressione che non sia questa la domanda» disse Dio, con una voce vellutata da soprano, lievemente sardonica.
«No» Thomas riaggiustò le mani in grembo. «La domanda è perché? Perché, dopotutto, presentarsi in questo modo?»
La testa poligonale vibrò come un’immagine su uno schermo fuori fuoco. Dio mosse le mani in un gesto ampio, inclusivo, volto ad abbracciare l’intero ufficio e qualcosa di più.
«Questa forma la disturba?»
C’era chiara apprensione nella sua voce. Anche guardando le sue apparizioni televisive, Thomas aveva sempre avuto l’impressione che lo scopo di quelle trasformazioni fosse piacere. Fare sentire in qualche modo inclusi tutti gli umani. E per quell’esatto motivo sentiva un brivido risalirgli lungo la schiena.
Dio tornò a incrociare le dita sul petto, i gomiti appoggiati alla scrivania. «Mi sforzo di dare una rappresentazione non offensiva, per quanto alcuni si aspetterebbero qualcosa di più classico. Altri ancora» e tracciò in aria un gesto con le dita affusolate, «preferirebbero non vedere niente.»
Thomas sistemò il colletto della camicia. «Intendevo in senso più in generale. Perché presentarsi in una forma fisica, ad esempio.»
Dio incrociò le braccia. «Lei proviene da un’istruzione neo Cattolica, non è vero?»
Deglutì e tentò di mantenere un’espressione neutra. Non c’era motivo di stupirsi per quella deduzione; sarebbe bastata una semplice ricerca per capire che scuole aveva frequentato. Rispose con un cenno del capo.
«Allora saprà come, nel corso della storia, ci siano stati una pletora di profeti. Mossi – e in un gesto plateale ondeggiò le mani in aria – da ispirazione.»
La testa di Dio era un cubo inscritto in un cono. Thomas si aggiustò sulla sedia, cercando di controllare la postura. Era riuscito a non rivolgere lo sguardo al registratore. Doveva solo costringersi a tenere gli occhi lontani dalla scrivania, non destare sospetti.
«Lei parlava con quegli individui? Con tutti?»
«Con molti. Ma imparai a mie spese il problema dell’interpretazione. Vede, non basta comunicare. In quei primi tentativi, non aveva importanza che parole scegliessi, né in che lingua mi esprimessi. L’ascoltatore si rivelava sempre determinante nella comprensione, e poi nella rielaborazione, del messaggio.»
Lo lasciò parlare. Una singola goccia di sudore gli scivolò sulla tempia. «Un po’ come lei, uscito da qui, potrà scrivere un articolo positivo o negativo.»
«Sta dicendo, in pratica, che è stato frainteso?»
Dio vibrò, e la sua figura cambiò un’altra volta. Le spalle tornarono a essere squadrate. La curva del seno rientrò nel petto e la camicia si appiattì, solo per gonfiarsi al livello dello stomaco. Due braccia nerborute spuntarono da sotto le maniche, la pelle di un color ocra tendente al giallastro.
«Quasi sempre, e quasi completamente. Quei profeti ascoltavano le mie parole, e le interpretavano secondo la loro etica, l’educazione dei loro padri, la storia della loro nazione, la situazione politica di quel momento. Provavo, ovviamente, a chiarire le mie posizioni in incontri successivi; generando solo nuovi fraintendimenti. Da questi tentativi» e sospirò, «sono nati degli errori, a volte anche grotteschi.»
Dio si era sempre rifiutato di ammettere quali religioni fossero state effettivamente ispirate da lui e quali fossero frutto dell’immaginazione. Thomas lo trovava un atteggiamento molto conveniente.
«Con le epoche le società umane sono diventate più colte, più sofisticate, ma invece di una maggiore comprensione del mio messaggio, questo ha portato solo a creare miti più intricati. Fino a qualche secolo fa» continuò, «mi esimevo da interventi diretti. La mia assenza, con il tempo, è diventata uno dei pilastri di molte fedi.»
«Mi risulta difficile credere che non potesse convincere quei profeti.»
«Questo perché lei mi attribuisce poteri…» Thomas ebbe l’impressione che la testa geometrica volesse sorridere. La piramide più esterna si trasformò in un cono e girò entusiasta su se stessa, «…divini. La verità è che non posso schioccare le dita e far cambiare idea a qualcuno; allo stesso modo in cui lei non si aspetterebbe di cambiare la gravità a comando. Il pensiero è proprio dell’essere umano.»
Thomas si sentì rabbrividire. Il colletto della camicia gli premeva sulla gola come un cappio e cercò di allentarlo con due dita. Concentrati sulla discussione, si disse. Aveva previsto troppo tempo per quell’intervista, sopravvalutando il suo sangue freddo. Ma parte di lui ancora voleva ascoltare, ancora sperava di venire persuaso.
«Cosa le ha fatto cambiare idea?»
«Il tempo, in parte.» La vibrazione allegra delle forme geometriche cessò. «Ho voluto manifestarmi per provare un altro tipo di messaggio, più diretto. Capillare, se vogliamo. Oggi sono le azioni della Theos a parlare per me; in modo più efficiente di tanti ministri religiosi del passato.»
Thomas arricciò il labbro superiore in un ghigno. «Di certo ha sgominato quel genere di concorrenza.»
«Oh, sì.» Dio appoggiò entrambe le mani sull’ampio stomaco. «Ma un po’ di concorrenza rimane, com’è salutare che sia in un sistema capitalistico multiplanetario. A livello religioso, ci sono e ci saranno sempre sette disposte a fornire una verità alternativa.»
«Tuttavia la Theos non è una religione» obiettò Thomas. «È un’azienda.»
«Chiaro. Siamo presenti su tutti i pianeti colonizzati, e possiamo aprire una filiale su quelli di recente colonizzazione, tempo una settimana.»
«Vede» Thomas appoggiò una mano sulla scrivania, poi la ritrasse, grattandosi nervosamente l’orecchio, «è proprio questo il passaggio difficile da accettare. Perché vendere servizi? Perché costruire un impero economico?»
«Lei saprà di certo dei nostri programmi di alfabetizzazione. Del supporto ai disoccupati, dei sindacati, dell’assistenza legale gratuita? Dei nostri centri per gli orfani, per le vittime di violenza e della tratta? Delle tratte spaziali meno conosciute, delle colonie periferiche, in cui solo le navi della Theos garantiscono una parvenza di sicurezza?»
«Sì, io so che… »
«No.» La voce di Dio suonò per la prima volta seria. Roboante. Categorica. Alzò una mano, ma sembrò ripensare a quel gesto e la appoggiò sulla scrivania con grazia. «Vede, lei compie l’errore di molti. Pensa che il denaro sporchi le mani. In realtà, il denaro è un mezzo; il mio fiuto per gli affari, e l’aiuto di uno staff di analisti dedicati e professionali, mi consente di tenere in piedi tutte le attività umanitarie della Theos. E così sarà per molto tempo ancora. Ci stiamo espandendo, lo sa? E collaboriamo con molti governi.»
«Ma lei potrebbe crearne, di denaro.»
«Ah» Dio vibrò di nuovo, in una mezza risata. «Ma questo farebbe schizzare l’inflazione, non crede? Mi si accusa già di tutto, mi mancherebbe soltanto un crollo delle borse.»
Per qualche tempo rimasero in silenzio. L’intervistato ruotò la testa geometrica, guardando fuori dalla finestra. Il suo corpo si asciugò, diventando minuto. I muscoli rattrappirono sotto ai suoi occhi, la pelle si assottigliò e venne solcata da rughe sottili.
Per qualche tempo rimasero in silenzio. L’intervistato ruotò la testa geometrica e guardò fuori dalla finestra. Thomas osservò Dio mentre cambiava di nuovo aspetto: il suo corpo si asciugò, divenne minuto, i muscoli sotto ai suoi occhi rattrappirono, la pelle si assottigliò e venne solcata da rughe sottili. Quella trasformazione gli fece venire la nausea, ebbe la sensazione di dover vomitare qualcosa rimasto incastrato nell’esofago. Deglutì, cercando di abituarsi a quel corpo ora anziano.
Il registratore, sulla scrivania, rimaneva indisturbato.
«Di nuovo, è una questione di volontà» proseguì Dio.
«Prego?»
«Ho già provato a spiegare all’essere umano la mia opinione; non ha funzionato.» Le due mani rugose si unirono, intrecciando le dita. «Come le ho già detto, non posso cambiare le idee. Potrei imporre una teocrazia con me al vertice; ma non sarei migliore di un qualsiasi dittatore.»
«Quindi ha creato un’azienda.»
«Esatto. La Theos raggiunge l’umanità con i mezzi che le sono più congeniali, con il linguaggio che capisce meglio. Costruire dei nuovi ospedali con il ricavato dei nostri profitti è una strategia più efficace di qualsiasi sermone.»
Non aveva argomenti da opporre a quell’affermazione. C’erano stati casi in cui la Theos era stata sotto inchiesta, ma erano sempre stati problemi minori. Un impiegato licenziato in un ufficio su Marte o degli errori nei libri contabili delle filiali più periferiche. In ogni occasione, l’azienda si era comportata in maniera cristallina, pagando le penali e rimediando ai torti.
Quello non voleva dire che gli dovesse piacere. Thomas scoprì che stava digrignando i denti e si fermò, inumidendosi le labbra.
«… è un modo indiretto di agire. I suoi detrattori pensano che nasconda qualcosa. Cos’ha da dire a riguardo?»
Dio inclinò la testa.
«I miei detrattori, oppure lei?»
Non era riuscito a nascondere l’astio nella sua voce. Dannazione. Cercò di capire cosa l’altro pensasse, ma era impossibile immaginare i pensieri celati dietro quella testa geometrica in continua evoluzione. Non rovinare tutto. Ancora pochi minuti.
«Io non intendevo…» balbettò.
«Oh, no, si figuri» Dio scacciò una mosca immaginaria con la mano. «Non è certo un problema. Tornando alla domanda, è nel loro diritto dubitare. Non ho nessun problema con lo scetticismo, a differenza di quanto si pensi. Non ne capisco la causa, tuttavia.»
«Lei …» si fermò, misurando il tono di voce. «Quando vent’anni fa si è presentato al mondo, religioni vecchie di millenni sono crollate. Lei questo lo sa. Ha fondato un’azienda il cui operato potrà anche essere condivisibile, ma finora non ha mai dato una spiegazione.»
L’altro appoggiò un gomito alla scrivania, vibrando leggermente. Il suo corpo sembrò ringiovanire, tornando a calcare l’immagine di un uomo giovane e in salute. «Riguardo a cosa?»
Si sentiva la gola secca. «Il significato della sua presenza. Riguardo il suo scopo.»
«Il mio scopo non è diverso, parlando grossolanamente, dallo scopo di un gatto o di una scimmia.»
Thomas aprì la bocca per rispondere, solo per scoprire che non aveva idea di cosa dire. Rimase per qualche secondo con le labbra semi aperte, prima di richiuderle sul fallimento della sua retorica.
«Esatto. Come qualsiasi cosa che vive, il mio scopo è continuare a esistere.»
Quella franchezza era peggio di quanto si fosse aspettato. Boccheggiò.
«Quindi mi sta dicendo che non ha nessuno scopo.»
«Al contrario.»
La testa geometrica si compresse fino a diventare una minuscola sfera e poi un punto. Qualcosa emise un click.
«Il suo registratore» disse Dio. «Sembra si sia interrotto.»
Thomas sentì la sua percezione dilatarsi in un istante di lucidità. Gli sembrava di sentire il tempo scorrere con esagerata lentezza, al ritmo millimetrico dello scendere del sudore sulla sua pelle. Improvvisamente si ritrovò a pensare a tutti i momenti in cui si era trovato davanti a un pericolo mortale. Quella volta che, da bambino, l’autobus che lo portava a scuola aveva sbandato su una pozza d’acqua, slittando come un proiettile verso la fermata. Molti anni più tardi, la canna nera della pistola del rapinatore in un qualche vicolo sozzo della vecchia New York. Quella volta, sapeva di non poter evitare il pericolo.
Il congegno che aveva costruito era artigianale ma potente. Le vecchie ricette degli anni neri del terrorismo, raccolte in tre anni di macchinazioni notturne. In realtà, la parte più difficile era stata realizzare un esplosivo portatile, ma abbastanza efficace da friggere una stanza.
Non doveva mancare molto. Non era la paura a dilatare la sua percezione, realizzò. Era l’apoteosi del suo scopo. La distruzione di quel falso dio.
«Mi lasci controllare» la voce suonava distorta.
Thomas mise la mano sul registratore, spingendolo in avanti e facendolo scivolare sulla scrivania.
Fu allora che l’apparecchio esplose, polverizzando la sua mano in una palla di fuoco. L’arredamento ipermoderno dell’ufficio si trasformò in un caos di frammenti fumanti, spiaccicandosi contro le pareti. La vetrata si spaccò verso l’esterno, lasciando uscire un boato e fiamme come l’alito di un drago. Thomas non poteva saperlo, ma la maggior parte del suo corpo era stato ridotto in poltiglia, proiettato sulle pareti e poi era evaporato. Rimasero perlopiù delle schegge di ossa.
Da qualche parte, molti piani più in basso, si cominciarono a sentire le sirene degli allarmi automatici.
L’ufficio della Theos era un campo di battaglia.
«Mi dispiace. Signor Wolnmann, come le dicevo mi è impossibile far cambiare idea a qualcuno. Le avrei spiegato, se me ne avesse dato l’occasione, che le idee non si possono uccidere» disse Dio.
L’autore
Matteo è una parodia a basso costo di un supereroe: lavora di giorno veste i panni dell’informatico e di notte quelli dello scrittore. In che modo questo si qualifichi come eroismo, non è dato sapere. È interessato a tutte le forme di storytelling, dai libri, ai film, ai videogiochi, passando per tutti gli ibridi nati grazie all’era di internet. I suoi generi preferiti sono il fantascientifico, il fantasy (soprattutto se declinato nelle sue varianti più weird) e il realismo magico; in generale si interessa di qualsiasi cosa abbia un elemento speculativo. Voci non confermate dicono che nelle sue vene scorra una miscela di ironia e caffè nero. I suoi racconti sono già apparsi su un’antologia e su riviste in lingua inglese.