Figli della ruota

Il blocco di cemento scatta e Falas apre gli occhi.

La lancetta più corta non ha ancora concluso il suo giro, ma la Ruota intorno a lui ha ripreso a girare. È l’ora Prima e i blocchi di cemento che lo circondano ruoteranno con lui fino all’ora Duodecima.

La sagoma di Falas si riflette nel vetro grigio della finestra senza cielo. Il suo corpo pare come sempre il guscio di una lumaca vuota: il carapace rinsecchito del sedicenne deciso che il mondo fuori dalla Ruota vorrebbe.

Falas si divincola allora dalle coperte, cercando di rotolare verso il lato in cui il mondo gira. I suoi piedi impattano sul gelido pavimento arancione mentre le sue ginocchia scricchiolano all’unisono con gli ingranaggi della Ruota.

Dietro al letto, le solite scale. Falas sa benissimo che dovrà salirle anche oggi per sostenere l’ennesimo Saggio ai livelli esterni, ma per farlo dovrà attendere l’ora Terza. È ancora presto.

Falas non si è lavato la faccia glabra, non ha tolto la djellaba da notte e non ha la benché minima intenzione di articolare mezza sillaba. Haojin pare apprezzare.

***

La porta metallica sbatte alle loro spalle. I corridoi arancioni scricchiolano come percorsi da scariche elettriche lungo collegamenti nervosi. I blocchi di cemento si muovono in cerchi concentrici, come gabbie grigie intorno alle loro teste vuote e basse, dirette verso il centro.

Porta dopo porta, Falas e Haojin attraversano un arco, un corridoio, un secondo arco: sono nella Sala Comune.

La Sala Comune non è ancora il centro, però.

Oltre la Sala c’è l’Ultima Porta. Dietro l’Ultima Porta, i Figli più anziani dicono bruci un cuore di fuoco in grado di muovere con i suoi battiti la Ruota stessa. Asse, lo chiamano.

In piedi, accanto a Falas, Haojin sta afferrando dal buffet una fetta biscottata rotonda: sono mosse che Falas conosce a memoria, eppure seguirle gli provoca una strana sensazione di piacere misto a invidia.

Se proprio volesse essere onesto con se stesso, dovrebbe ammettere che questa ricorrente familiarità gli riporta alla mente il suo ultimo compagno di stanza: Laurel. Anche Laurel era abitudinario e prevedibile: ogni mattina, tra l’ora Seconda e l’ora Terza, cantava sempre la stessa canzone. Com’era? “Il tempo passa e se ne va”? Non proprio. Qualcosa di simile.

Il suo rimpiazzo Haojin non è certo da meno. Anche lui, ogni mattina, riproduce le stesse azioni. Anche lui, davanti al buffet, ripete sempre le solite scelte.

Mentre Falas? Falas non sceglie. Prende di tutto un po’: piccole ciotole concave guarnite di ogni varietà. Falas non vuole un gusto singolo e neppure due: lui li vuole tutti, nel cibo e nella vita.

La Ruota gli dà la possibilità di scegliere tutto e di non scegliere mai davvero niente, di passare di livello in livello, di provare di tutto un po’.

Non ha mai dovuto trasformarsi, Falas, non ha mai avuto la necessità di cambiare per davvero. Lui non ha un’identità fissa. Lui impersona: interpreta di giorno in giorno un personaggio diverso, una nuova vita.

Haojin si è allontanato verso un altro tavolo, rotondo e arancione: in Sala Comune la prassi è la rotazione.

Per Falas nessuno è più sconosciuto, però: non dopo dodici anni trascorsi fra cerchi concentrici come gabbie intorno a gabbie, ruote di cemento strette intorno a teste basse e vuote.

Oggi la sua vicina Nala pare attraversata da un fascio elettrico:

“Certo che potevi anche avvisarmi, eh?”

Falas non capisce. Ricorda qualcosa, una promessa. Quale?

Nala non aspetta:

“Torni al 6S. Hai detto che mi avvertivi.”

Vero, Falas inizia a ricordare: è il giorno del Bel Canto. Per la seconda volta in un mese la Ruota lo depositerà sulla plancia di attracco del livello 6S e per la seconda volta in un mese i Saggiatori metteranno alla prova la sua compatibilità con l’Alto Corso in Bel Canto. L’ennesimo Saggio. L’ennesima strada tracciata da evitare.

Nala vuole che questa volta lui fallisca:

“Fa’ che non ti scelgano, Falas. Devono scegliere me. Devo essere io a trovarlo.”

Falas annuisce.

La sua testa è una caverna sguarnita, ma fra una meninge e l’altra rimbomba ancora una volta un nome: Laurel. È lui che Nala vuole trovare.

Da quando Laurel è partito, non passa giorno senza che lei cerchi il modo di raggiungerlo: al livello 6S, all’Alto Corso in Bel Canto.

Falas, al pensiero di questa folle ricerca disperata, si morde le labbra. Ammira la convinzione di Nala. Forse addirittura la invidia.

Vorrebbe ritrovarlo anche lui, Laurel.

Se solo anche lui fosse in grado di scegliere una strada: una sola. Potrebbe concentrare tutte le sue energie in un unico obiettivo: imboccare un cammino, combattere per qualcosa, dare una direzione alle sue incertezze.

Peccato che Falas non sappia scegliere. Peccato che non abbia mai saputo farlo.

E intanto intorno a lui tutti scelgono.

E intanto intorno a lui la Ruota gira.

Ogni giorno. Da dodici anni.

***

La Ruota è stata progettata come un enorme albergo di cemento delle dimensioni di una montagna. Disegnata per trattenere i figli nati da unioni indesiderate tra gli abitanti delle varie città-funzione, la Ruota svetta al centro della Città Studi, innalzandosi di livello in livello, di strato in strato, da quelli sotterranei a quelli di terra.

Attraversando la Città Studi, la Ruota gira con scatti elettrici rapidi e regolari che percorrono i corridoi come collegamenti nervosi.

Brevi soste a ogni ora Terza permettono ai Figli della Ruota di discendere ai vari livelli per sostenere le prove di accesso per gli Alti Corsi in Città Studi.

Città Studi Multistrato o Parigi Minore, come la si voglia chiamare, a Falas attraversarla ogni giorno all’interno della Ruota dà la sensazione di vivere in un luogo che contenga tutti i luoghi del mondo; una città che non si trasforma mai, perché racchiude già in sé tutto ciò che esiste.

Ogni giorno la Ruota gira e ogni giorno i Saggiatori di Livello chiamano a sé Falas per metterlo alla prova, per far sì che trovi il suo scopo, la sua funzione.

Perché di base, in ogni città-funzione del mondo tutti hanno uno scopo; tutti tranne i Figli della Ruota. Loro, il posto nel mondo, devono ancora trovarlo.

Quando lo trovano, se ne vanno. Come Laurel.

Falas lo ricorda molto bene, il volto di Laurel, con quel naso curvo come un sorriso storto che pareva prenderlo in giro. E ricorda pure molto bene quanto ha detestato i suoi fastidiosi capelli biondi spessi come paglia che si infilavano in ogni angolo della stanza.

Laurel, a differenza di Falas, sapeva benissimo cosa voleva fare: diventare un musicista. Voleva partecipare all’Alto Corso in Bel Canto. Il punto era però ingannare il sistema; convincerlo che Laurel non solo lo volesse, quel posto, ma chelo meritasse.

Di giorno in giorno, Laurel aveva provato, si era esercitato. Falas lo aveva sentito più e più volte cantare in camera, in doccia, di fronte alla finestra opaca, seduto sulla scala interrotta che dalla stanza 505 portava alle plance d’attracco esterne.

Com’era la canzone?

“Compagno, questo cielo vola…” Niente, Falas non ricorda.

Comunque sia, ci era riuscito, Laurel aveva trovato il suo posto. Era stato ammesso all’Alto Corso e lo aveva lasciato lì.

***

Falas ingoia quindi l’ultimo boccone, mettendo finalmente a fuoco il perché di quella malinconia diffusa: il livello 6S, quello dove lo depositeranno oggi, non può non ricordargli Laurel. E Laurel, nonostante il suo naso curvo come un sorriso storto, nonostante i suoi stupidi capelli spessi come paglia e nonostante i suoi inutili tentativi di dissimulare interesse di fronte a Nala, beh, Laurel gli manca.

Già, perché Haojin è ok, non disturba, ascolta quando necessario, ma non è lui il problema.

Il problema è che tutti loro, uomini, donne, persone, tutti passano, passano, passano. E continueranno a passare.

Perché sanno da dove vengono e dove devono andare, sanno cosa desiderano e cosa vogliono diventare. E quindi cambiano. Si adattano.

Mentre lui? A volte Falas vorrebbe soltanto essere come loro: avere un desiderio e basta, che sia il suo fine nella vita, l’unico obiettivo che valga la pena realizzare, uno scopo.

Come un’ombra trascinata sul marmo da un sole grigio, Falas scivola allora tra i corridoi arancioni dalle volte ricurve e ritorna in camera.

Si china, afferra la cassettiera ocra da sotto il letto e ne estrae il costume per la giornata: uno smoking in plastica scura che pare uscito da una festa di Carnevale organizzata alla bell’e meglio in Sala Comune, quando i Figli più anziani dormono. Falas trova il costume tutto sommato appropriato. Del resto lui non si adatta, lui impersona.

***

Un passo alla volta, inizia allora a salire le scale nascoste dietro al letto. L’ennesimo scricchiolare di ingranaggi accompagna la sua ascesa. Suoni preparatori e talmente abituali che quasi non ci fa caso. Il tonfo di cemento sancisce infine l’approssimarsi dell’attracco.

La scalinata diventa come sempre una passerella protesa verso il terreno erboso: il solito ponte acuminato lanciato dalla Ruota verso il mondo di fuori, verso la Città Studi Multistrato.

Falas si china a cercare le due enormi cime agganciate alle balaustre di metallo. I nodi sono già stati stretti, a lui spetta solo il compito di lanciarli all’altro capo, sulla plancia di attracco.

L’uomo all’altro capo della passerella poggiata sull’erba del 6S indossa un’anonima camicia a quadri stretti bianchi e neri. Ha degli occhiali appuntiti, un sorriso poco convinto e guance che sembrano fatte di cera. Pare un manichino:

“Benvenuto Falas. Posso chiamarti per nome, sì?”

Non è la prassi, ma Falas annuisce. Il manichino prosegue:

“Perdonami, mi hanno parlato di te così tanto che mi sembra di conoscerti. Sono Cosmin.”

Falas non capisce. Chi gli ha parlato di lui?

Il manichino sembra grattare con fretta parte della cera dalla guancia sinistra:

“Comunque sia, non voglio farti perdere tempo, Falas. Già la scorsa volta avevano tutti votato per ammetterti. Davvero non vuoi saperne?”

Certo che aveva davvero sbagliato tutto, mette a fuoco Falas; la sua prima prova era andata fin troppo bene. Sotto la cascata in fondo al giardino, aveva scelto di suonare il pad dodecafonico e, beh, gli era pure piaciuto. Solo che… Farlo per tutta la vita…

Scuote ancora una volta la testa. Vuole solo voltarsi, risalire la passerella e ritornare alla sua Ruota, senza dover ancora una volta decidere. Fare scelte in qualche modo lo obbliga a immaginare un futuro diverso. Un futuro definitivo.

E lui un finale non lo vuole. Vuole continuare la sua vita, vuole sentirsi libero di cambiare idea a ogni risveglio.

Cosmin però alza una mano:

“Un’ultima cosa…”

Falas si gira e il pupazzo di cera è ancora lì. Non si è spostato di un millimetro. Sembra si stia grattando ancora la guancia sinistra. Con la mano tesa e un sorriso così sottile che pare la miccia di una candela, Cosmin porge a Falas un quadrato di carta giallo e sottile:

“Ecco, tieni. Credo ti darà una prospettiva. Un Asse.”

Quello che Cosmin gli ha passato è un foglio giallo e stropicciato: uno spartito. Sotto le note Falas distingue parole scritte a mano. Fatica a leggerle, ma in fondo non gli importa: lui vuole solo andarsene. Stringe il foglio nel pugno, si china e inizia a sganciare le cime.

La passerella, con l’abituale soffio caldo, riprende a sollevarsi: con un sonoro clack, la Ruota riprende a girare.

Con un riflesso involontario, però, gli occhi di Falas scendono lenti sul foglio:

Compagno, questo tempo vola.

Questo tempo vola e se ne va.

Questo tempo vola e non si ferma mai.”

Il messaggio porta la firma di Laurel.

Falas si volta, ma il sorriso sottile come la miccia di una candela dell’uomo di cera non gli risponde più; la Ruota sotto i suoi piedi ha ripreso a girare.

Il mondo di fuori, con le sue stupide opzioni, è finalmente scomparso.

***

Un giro. Due giri. Tre giri. Moltiplicati per mille.

Dall’alto dell’Ultimo Colle, alla periferia della Città Studi, Laurel si copre con una mano il naso curvo come un sorriso. Non riesce a staccare lo sguardo dalla Ruota.

Non la ricordava certo così enorme; più alta dell’Ultimo Colle stesso. A dire la verità non la ricordava e basta. Tutti gli scampati alla Ruota di norma preferiscono dimenticare.

Anni sono passati. Giri sono trascorsi.

Laurel e Nala sono l’uno a fianco all’altra, appoggiati al tronco di un faggio ritorto. Alle loro spalle, Cosmin. È stato il loro istruttore durante l’Alto Corso in Bel Canto e il loro più affiatato collega dopo la vittoria finale. Ora sembra lasciare spazio ai due, come a permettergli di mettere a fuoco ciò che davvero li ha portati fin lì.

Nala e Laurel sono diventati ciò che desideravano: musicisti di successo, turnisti fra le città-funzione. Uniti, liberi. E ora sono tornati.

Con uno scatto sordo, la Ruota di fronte a loro si blocca. È l’ora Terza.

Di fronte a Laurel, la Ruota alta come una montagna da cui per anni ha voluto scappare sta calando ancora una volta una passerella d’attracco, con i suoi spuntoni aguzzi pronti a conficcarsi nell’erba del livello 6S.

Laurel segue con la coda dello sguardo l’avanzare di Nala al suo fianco. Stanno per tornare a casa. Lo stanno facendo per distruggerla.

***

La Ruota sarà smembrata: ogni livello della Città Studi ne vuole un pezzo. Nala, Cosmin e Laurel sono incaricati dai Baroni del livello 6S di selezionare le parti per cui fare domanda.

A Laurel e Nala tutto questo però interessa fino a un certo punto. Loro sanno benissimo cosa vogliono trovare: l’Asse, il cuore di fuoco che muove la Ruota. Non per il loro livello: per distruggerlo. Cosmin non lo sa: il giorno del loro matrimonio in cima alla Torre Faro, Laurel e Nala si sono scambiati una promessa. Nessuno dovrà ricostruire la Ruota. Mai più. Devono farla sparire per sempre.

Fra le tempie spesse di Laurel, però, fra membrane gonfie di pensieri, un volto riemerge: Falas. Che ne è stato di lui? Falas non ha mai risposto alla sua canzone, a quel messaggio che avrebbe dovuto motivarlo a raggiungerlo.

Da quel giorno Laurel ha smesso di cercarlo.

Perché ha smesso? Perché si è arreso?

Non lo sa. Non se lo spiega. Mancanza di tempo, forse; scarsa volontà, pigrizia. Un filo tagliente di sensi di colpa stringe i pensieri di Laurel come fascine pronte a essere lanciate su un rogo.

***

I tre salgono le scale, lenti e silenziosi.

Anche Cosmin, che mai vi ha messo piede, è intimorito dall’imponenza dei corridoi arancioni della Ruota. Laurel incrocia il suo sguardo e riconosce fra le sue pupille lo stesso stupore dei primi Figli della Ruota, freschi di trasferimento.

Dopo tutti questi anni, però, la sua prospettiva si è capovolta: ai tempi in cui vi era stato trasportato, aveva visto poco a poco la Ruota diventare tutto il suo mondo. Ora, quel mondo, Laurel deve farlo a pezzi.

Scendere insieme a Nala quegli stessi scalini saliti così tante volte anni prima non può non risvegliare in Laurel uno strano vortice nello stomaco. È una sensazione insolita ma familiare. Gli pare di salire sul palco di un suo stesso concerto per rendersi conto che l’unico pubblico pagante saranno Nala e Cosmin e che tutte le sedie intorno a loro sono vuote.

Quelli che un tempo erano i corridoi grigi e arancioni che stritolavano Laurel come serpenti di cemento, paiono oggi degli sfiatatoi neri attraversati da aria gelida e polvere. Solo il silenzio risponde al rumore delle suole dei tre sulle piastrelle lisce e arancioni.

I corridoi, un tempo elettrici come collegamenti nervosi, paiono quasi immobili. La Ruota si sta poco a poco spegnendo.

Nel nuovo mondo in cui certezze e funzioni sono ormai del tutto incardinate, gli indecisi sono sempre più rari: di Figli della Ruota da guidare a trovare il loro posto non ne nascono più. Il gigante vuoto in cui Nala e Laurel muovono i loro passi non è ormai che l’ombra di un passato storto che nemmeno loro vogliono più ricordare.

Eppure qualcosa che riaffiora c’è, il volto di Falas continua a riemergere a intervalli regolari fra i collegamenti nervosi attorcigliati come cavi di rame che affollano il cervello di Laurel.

Falas, dannazione, che ne è stato di lui? L’ombra del viso asciutto del suo vecchio compagno di stanza si espande fra le insenature della mente di Laurel come una macchia scura.

Non importa. Ora l’importante è trovare l’Asse.

***

L’arco sopra le loro teste segna l’ingresso dei tre nella Sala Comune.

La Sala è diventata un enorme stomaco cavo che piange miseria. Nessuno abita più la Ruota. Nessuno protegge più né l’Ultima Porta, né il suo cuore di fuoco; l’Asse, dannazione. Laurel deve davvero distruggerlo.

Laurel si paralizza per alcuni istanti a fissare la superficie scura dell’Ultima Porta. Può quasi sentire il battito del suo stesso cuore, intervallato solo dal respiro di Nala e Cosmin dietro di lui. Neppure loro osano parlare. Avvertono a loro volta la sua stessa apprensione.

Dopo un lungo respiro, è Nala a muoversi: si spinge in avanti, appoggiandosi alla maniglia.

L’Ultima Porta si apre di scatto e Laurel si ritrova trascinato al suo interno. Quasi non avesse scelta.

Un fascio bianco investe i suoi occhi. Poco a poco l’immagine chiara e nitida del suo vecchio compagno di stanza inizia a prendere forma.

Falas ha le mani agganciate a due manette arancioni fissate al muro. I piedi sono cinti da due cavigliere ricoperte di rame, il suo corpo asciutto è circondato da una sfera di cemento che lo blocca.

Il carapace rinsecchito di Falas è conficcato al centro esatto della sfera, con gli occhi chiusi: con le due mani stringe le leve che muovono la Ruota. Le sue braccia si muovono a fatica, uno scatto elettrico alla volta, come collegamenti nervosi. Muove un ingranaggio, che ne muove un altro, che a sua volta muove i cerchi concentrici che muovono la Ruota, di livello in livello.

Falas è diventato l’Asse: il centro della Ruota stessa.

Laurel inizia a capire. Non è mai esistito nessun cuore di calore al centro della Ruota. Si è sempre trattato di persone: i Figli della Ruota più anziani, l’Asse è sempre stato uno di loro.

Il respiro di Laurel si blocca per un secondo; non riesce a scollare gli occhi dal volto scavato del suo vecchio compagno di stanza, dalle sue ossa come tubi, dai suoi capelli come cavi scoperti.

Laurel non riesce più a concentrarsi sul brusio indistinto di Nala e Cosmin alle sue spalle. Falas era suo amico, dannazione, e ora quel suo ridicolo fisico scheletrico pare come inglobato all’interno della sfera di cemento che stringe il suo corpo.

Nala si avvicina a Laurel. Gli indica la mano sinistra di Falas.

Laurel finalmente mette a fuoco. Nella mano sinistra, il suo vecchio compagno di stanza stringe un foglio di carta ingiallita piegato in due.

Quasi svegliandosi di colpo, Laurel tende la mano destra verso il foglio. Sa di cosa si tratta, eppure aprendolo non può non lasciarsi sfuggire un tremito, una scarica elettrica.

Sotto la canzone, sotto lo spartito e sotto il messaggio che Laurel ha lasciato a Falas anni prima, un’altra riga è stata scarabocchiata a mano. Laurel ripercorre le sillabe storte una dopo l’altra: la calligrafia è molto più che familiare. Tra sé e sé legge:

Era qui, Laurel. Il mio Asse era qui. Il mio scopo è sempre stato qui.”

Laurel si volta verso i compagni. Cerca Nala, cerca Cosmin. Vorrebbe spiegare anche a loro. Vorrebbe trasmettere quello che prova, ma quelli che gli escono dalla laringe sono solo i versi di quella canzone:

“Compagno, questo cielo vola…”

Un singhiozzo gli blocca il respiro. Alle sue spalle, un suono sordo: il blocco di cemento scatta.

Falas si è mosso. Si è mosso, dannazione. Ha aperto gli occhi. Con un afflato di diaframma, una voce che Laurel non sentiva da tempo risuona come un’eco fra le pareti di una caverna sguarnita:

“Compagno, questo cielo vola e se ne va. Questo cielo vola e non si ferma mai.”

La voce si blocca a metà, come interrotta da un colpo di tosse che pare l’assestarsi di un ingranaggio.

Laurel si lancia verso Falas. Vorrebbe abbracciarlo, vorrebbe portarlo via con sé, vorrebbe chiudere gli occhi e sparire per pochi secondi, dimenticare tutto. Ma la sfera di cemento si oppone.

I loro sguardi si incrociano solo per pochi istanti.

Falas richiude le palpebre. Il blocco di cemento scatta di nuovo: un tonfo sordo seguito da uno scricchiolio.

La Ruota è intorno a Falas, è intorno a Laurel, è intorno a Nala, è intorno a Cosmin. È la Ruota: è dappertutto.

Gabbie intorno a gabbie, intorno a teste basse e vuote.

Scocca l’ora Prima e i blocchi di cemento ruotano ancora: ruoteranno con loro fino all’ora Duodecima.


L’autore

SRCM è nato nel ‘92 sul ramo sbagliato del Lago di Como, vive in una palude prosciugata poco fuori Bologna dove insegna francese con accento laghée. Non sopporta i film di Verdone e la gente che si firma con una sigla al posto del nome. Nella sua tesi ha ingaggiato una battaglia immaginaria contro Michel Houellebecq ma ne è uscito prevedibilmente sconfitto. Usa la distopia per sfuggire alla distopia: molto poco saggio.

Illustrazione di Carlotta Contino