La Strega del Mare

 […] sembrava volesse piangere, ma le sirene non hanno lacrime e per questo soffrono molto di più.
La Sirenetta – Hans Christian Andersen

Le Sirene non sono immortali, il loro tempo su questa terra non è infinito, solo molto prolungato. L’intera lunghezza di una vita umana non è che un terzo della loro, e insignificante come l’alternarsi delle stagioni. La loro esistenza è lunga e procede lenta, quieta. Ma proprio perché tanto longevo, il popolo del mare non vede spesso nuove nascite. Questa è la ragione per la quale le sirene sono rimaste nascoste tanto a lungo e allo stesso tempo ciò che le ha protette; se le acque fossero troppo affollate, gli umani non tarderebbero ad accorgersi della loro presenza, e si sa che i bipedi amano pensare di essere l’unico popolo intelligente al mondo.
Quando la sorella del Re del Mare concepì, fu festa in tutti i fondali. L’intera Atlantide ruggì di gioia nei suoi palazzi di corallo, musica filtrava dalle finestre a tutte le ore del giorno e della notte.
La piccola nacque durante una tempesta. I suoi capelli erano pallidi e lucenti fili di madreperla, la pelle tanto candida da avere una sfumatura azzurrina e gli occhi dello stesso nero degli abissi. Ma non era come le altre sirene. Il suo corpo minuto non terminava in una coda di pesce coperta di scaglie iridescenti, bensì in otto grossi tentacoli. Neri come i suoi occhi, venati di un viola cupo nella parte interna, dove si aprivano innumerevoli ventose.
Cadde il silenzio. L’intera Atlantide smise di cantare. Il popolo del mare era agghiacciato dall’orrore. Muto, come se la sorella del Re avesse perso la sua creatura, anziché dare alla luce una sirenetta sana. La gente mormorava nei cunicoli bui, dentro le barriere coralline: «Non è possibile».
«Chi è il padre di quella cosa?»
«Non è come noi.»
Nemmeno la madre della piccola sapeva cosa pensare. Osservava la sua creatura con occhi costernati, domandandosi quale malattia l’avesse colpita e storpiata. Non sapeva come trattarla, come sollevarla tra le braccia, come nutrirla.
Non riusciva nemmeno a darle un nome.

Tutte le principesse avevano la propria aiuola nel giardino del castello. La curavano con grande dedizione, coltivando corallo scintillante, fiori colorati e alghe saporite. Solo un pezzetto era diverso dagli altri: cupo, all’apparenza incolto, colmo di vegetazione scura e selvatica, spaventosa. Le sirenette erano raccapricciate da quell’angolo e si tenevano ben lontane.
A lei non importava. Era abituata alla solitudine, ai mormorii dietro le spalle, a scorgere solo il guizzo della coda delle persone che si affrettavano a nuotare via quando si avvicinava.
Servirà questo, pensò, e un po’ di quello. Sì, stavolta andrà bene, riuscirò a guarire! Ma per quanto studiasse le erbe e creasse nuovi intrugli, nulla riusciva a darle ciò che desiderava. Ogni estremità gommosa afferrava uno strumento diverso. Con le dita coglieva gli ingredienti e afferrava manciate di polvere. Le alghe scure le rovinavano le mani, macchiavano le unghie, bruciavano i polpastrelli delicati.
«Strega» bisbigliavano le cugine, terrorizzate, i bei volti contratti.

All’età di quindici anni ogni sirena è abbastanza grande da avventurarsi per la prima volta in superficie. Lei salì con l’unico desiderio di allontanarsi da tutti. E in breve divenne un’abitudine, l’ennesima che il popolo del mare osservava con disdegno. La giovane si issò su uno scoglio, stando bene attenta a lasciare i tentacoli a mollo, per evitare che il sole e il vento li seccassero. Non erano attraenti, ma non per questo voleva soffrire.
Ne raccolse uno e ne studiò la punta, imbronciata. Non sono così male, pensò. Le code delle altre sirene servivano solo a nuotare, lei invece poteva stringere oggetti, usare ogni estremità come mani supplementari, sollevare pesi, cacciare i pesci con più rapidità di qualunque tritone armato di tridente. 
Le vostre belle pinne invece cosa sanno fare?
Un rumore improvviso.
Sussultò, presa alla sprovvista. C’era qualcuno! Proprio lì, sulla spiaggia. E lei, troppo presa dai suoi pensieri, non l’aveva notato finché quel qualcuno non aveva iniziato a… cantare? La brezza di mare portava con sé una voce dolce e melodica come un trillare di campanellini. E questa si faceva sempre più vicina. Si affrettò a nascondersi tra le rocce, ma era troppo tardi. Il guizzare rapido dei tentacoli l’aveva – ancora una volta – tradita. La voce singhiozzò per la sorpresa e si interruppe di colpo.
Quando lei fece capolino da dietro lo scoglio, trovò un viso pallido a fissarla, occhi verdi sgranati e bocca aperta.
Era una piccola bipede. Aveva brillanti capelli rossi sollevati dal vento e la pelle cosparsa da puntini marroni. Il secchiello che reggeva in una mano paffuta cadde sulla sabbia e rotolò fino al bagnasciuga.
La giovane, dal canto suo, la fissò gelata, troppo sorpresa perfino per scappare.
«Sei- Sei vera?» mormorò la bambina, dopo un momento di silenzio.
Lei sbuffò, arricciando il naso indispettita «Che domanda sciocca».
La bipede – gli umani avevano un nome apposito per i loro piccoli. Bambini!, ricordò – aggrottò le sopracciglia. «Cosa sei?»
La domanda, pur posta con ingenuità, la colpì come un ceffone in faccia. Che cos’è quella cosa?, bisbigliava sempre il popolo del mare. Non è una di noi! Ogni volta, ogni volta. Strega! Una di troppo.
«Non sono affari tuoi».
«Sei una sirena, vero?» La bambina prese ad agitare quegli strani trampoli che i bipedi hanno al posto della coda. «Una sirena vera! Lo sapevo!»
La giovane spalancò la bocca. Nessuno era mai stato felice di vederla.
L’altra continuò come se nulla fosse: «Sei qui per adescare un marinaio? Li attirate cantando e poi affondate le navi. È questo che fanno le sirene. È vero che li mangiate? Li affogate e poi li mangiate».
Lei fece una smorfia disgustata. «Non li mangiamo affatto! Dove hai sentito queste idiozie? Le uniche navi che attacchiamo sono quelle che invadono le nostre acque. Per la nostra sicurezza».
«Oh…» fece la bambina, un po’ delusa. «Ma canti?»
Un improvviso groppo le chiuse la gola. No, non era mai stata portata per la musica come il resto del popolo del mare.
Arrossì, per la rabbia e l’imbarazzo. «No».
«E le altre sirene, invece, cantano?»
Annuì una singola volta, riluttante. D’un tratto, voleva solo andarsene. Si lasciò scivolare in acqua, pronta a nuotare via.
«Sono Alma!» urlò la bambina. «Qual è il tuo nome?»
Già di spalle, la giovane voltò solo il capo nella sua direzione. «Mi chiamano solo strega».
Si gettò fra le onde.

Il mondo umano aveva perso il suo fascino. Là non era meno un’estranea che nel suo luogo natale. Non smise di salire in superficie, ma passò del tempo prima che si avventurasse di nuovo vicino alla costa.
Non incontrò nessuno, né la prima né la seconda volta. La terza, tuttavia, scorse una fanciulla passeggiare a piedi nudi sulla spiaggia, le scarpe strette in una mano e nell’altra l’orlo di un pallido vestito giallo, trattenuto all’altezza delle ginocchia. Lunghi capelli rosso corallo venivano catturati dalla brezza. Era alta e flessuosa, la sommità di due seni torniti spuntava dalla scollatura dell’abito, ma la sua pelle bianca era trapuntata di famigliari macchioline marroni, gli occhi verdi come il mare quando il sole li baciava.
La fanciulla canticchiava tra sé e sé, raccogliendo conchiglie dalla sabbia, con una voce limpida di campane a festa, e lei riconobbe in quella creatura la bambina che aveva conosciuto. Lei era ancora la stessa strega che inorridiva il popolo del mare, ma in così breve tempo quella bipede era fiorita in una giovane e bellissima donna. Poteva immaginare come attirasse gli sguardi avidi dei suoi simili, quando camminava su quei lunghi trampoli, quando schiudeva le labbra rosee per cantare con quella voce che non aveva nulla da invidiare a quella di una sirena. Si allontanò con un guizzo, colpita dalla vergogna.
Fu il rumore dell’acqua a tradirla. Alma si voltò nella sua direzione e scrutò la superficie. «Sei tu, mia vecchia amica? Sei tornata finalmente da me, Strega? Strega del Mare…» Pronunciato da lei, l’appellativo suonava come qualcosa di affascinante e misterioso. «No, certo che no» sospirò la fanciulla, riprendendo a camminare.
Si era ormai allontanata di diversi metri quando lei fece di nuovo capolino dall’acqua, ma Alma la udì lo stesso. Stavolta, la strega non si nascose. Sostenne il suo sguardo, rifiutandosi di mostrare invidia o vergogna. La giovane donna parve studiare ogni palmo del suo corpo.
«Sei esattamente come ricordo. Sono passati tanti anni… mi ero quasi convinta che fossi un parto della mia immaginazione» confessò. «Ma sei vera, non è così? La mia Strega del Mare».
«Tua?» domandò lei, confusa. «Non appartengo a nessuno».
«Mia amica.»
«Cos’è un’amica?»
«Qualcuno a cui puoi dire tutto, con la quale non hai bisogno di avere segreti. Qualcuno con cui trascorri il tempo per il solo piacere della sua compagnia».
«Allora ti sbagli. Ti conosco appena».
«Oh, ma ho passato così tanto tempo a parlare al vento, al mare, nella speranza che tu mi sentissi, che ho l’impressione di non averti mai persa, che tu fossi sempre lì per me».
«Ma non lo ero. La tua è stata solo un’impressione».
«Possiamo sempre renderla reale» affermò la fanciulla. «Voglio essere tua amica. Voglio sapere tutto di te, del mare, di come vivi. Ti prego, avvicinati e parla con me».
Forse fu la curiosità per il mondo umano, forse solo l’appello dell’unica persona che non fuggiva alla sua vista, ma stavolta non volle lasciarla sola.
Alma non era cambiata solo nell’aspetto. Era maturata in una fanciulla calma e pensierosa. Sembrava avere delle opinioni su tutto; opinioni che, sedute sullo stesso scoglio, le confidava. La strega non si sentiva a suo agio a stare così vicina a un’altra creatura, ma la fanciulla non prestava più attenzione alle sue estremità inferiori di quanto facesse con quelle superiori.
Le raccontò della sua vita, di come fosse essere la figlia minore del principe più giovane del regno. Suo padre aveva due fratelli più grandi di lui e ognuno di loro aveva a sua volta degli eredi. Alma era di sangue nobile, ma non abbastanza in alto nella linea di successione da avere alcuna rilevanza. Per di più era una femmina. L’unica cosa a cui era destinata era un buon matrimonio con qualcuno che suo padre e suo nonno avrebbero scelto per lei. Le dicevano che era fortunata per il suo aspetto, che le aveva fruttato proposte di matrimonio sin dalla tenera età. Non si sentiva fortunata. Sgattaiolava sulla spiaggia ogni volta che poteva. Anche il giorno in cui la strega l’aveva conosciuta, le svelò, si era sottratta allo sguardo della balia ed era fuggita lì. Quello era l’unico luogo dove si sentiva se stessa. I pretendenti che aveva conosciuto parlavano per ore, e tutto ciò che le veniva richiesto era di stare ferma e sorridere compiacente.
«Mi fanno sentire come un oggetto. Senz’anima».
«Cos’è un’anima?»
«È la parte più importante di un essere umano, quella che sopravvive alla morte. La nostra anima immortale s’innalza in Cielo e si unisce a Dio».
La strega sembrava affascinata dal concetto. «Non ho mai sentito parlare di nulla del genere». Le sirene potevano vivere fino a trecento anni, e al termine della loro esistenza non c’era nulla ad attenderle, si tramutavano in schiuma di mare.
«Significa che voi sirene non avete un’anima? Che cosa terribile!»
«Suppongo di sì» convenne. Aveva sempre creduto che le sirene fossero fortunate perché vivevano molto più a lungo degli umani, ma – a modo loro – gli umani vivevano per sempre, solo in un’altra forma.
«A volte penso che rinuncerei a tutto per avere una coda e vivere in mare aperto, libera» sussurrò la fanciulla.
«Non sono certa che lo troveresti di tuo gusto. Le sirene non fanno altro che cantare, danzare e badare alle loro aiuole. Mi domando come sia possibile trascorrere la propria esistenza così.»
«Non suona molto diverso da ciò che è richiesto alle umane» osservò Alma. «Tu come trascorri le tue giornate, mia cara Strega?»
«Io… studio, soprattutto. Le erbe e le loro proprietà. Le coltivo nel mio giardino» spiegò esitante. «Devo trovare una cura».
«Una cura?» Una mano della giovane donna corse in cerca della sua. «Cosa ti affligge, amica mia?»
Non avvezza al contatto e sentendosi beffata da quelle parole, lei sfuggì al suo tocco. «La mia deformità è più che evidente».
La fanciulla, tuttavia, non capiva. «Deforme? Ma se sei la più bella creatura che abbia mai visto».
«Non resterò qui a lasciare che tu ti prenda gioco di me» sibilò e fece per tuffarsi in acqua, ma Alma la trattenne.
«Non mi importa cosa pensano le altre sirene. Sono delle sciocche. Sei bella e sei diversa, e sei bella perché sei diversa. Perché essere diversa nell’aspetto ti ha spinta a fare ciò che nessun’altra ha mai fatto prima» calcò con fervore. «Oh, non andare così presto, ti prego! E se proprio devi, non farmi attendere tanto a lungo per rivederti, mia bella Strega del Mare».
Ma alle sue orecchie quelle parole suonavano vuote. Belle frasi di cui riempirsi la bocca, ma troppo ingenue. Non ha mai visto una vera sirena. Non ha nessuno con cui compararmi. Se sapesse di cosa parla, non direbbe lo stesso.
Sfuggì alla sua presa e sparì tra i flutti.

Si immerse nei suoi studi. La rinnovata passione per il suo lavoro la rese ancora più aliena al popolo del mare, che divenne ancora più scostante nei suoi confronti. Lei se ne accorse a malapena.
Quando si avventurò di nuovo in superficie, alla ricerca di un certo muschio che cresceva sulla costa, assistette alla magia della neve. L’acqua era molto più fredda e solo l’eterno andirivieni delle onde le evitava di ghiacciare.
Pensò che quella grazia le avrebbe evitato ogni incontro, eppure una figura solitaria sfidava il vento, avvolta in pesanti pellicce chiare. La neve si fermava sui suoi capelli rossi e sulle ciglia, incastrandosi tra di essi come perle.
Ammirò la tenacia di quella fanciulla.
«Mi hai lasciata ad attenderti un’intera stagione, mia cara Strega» Alma si strinse nelle pelli. «Ma almeno è stato più breve dell’ultima volta».
Il gelo impediva a entrambe un’autentica vicinanza. La fanciulla non poteva entrare in acqua, e si accomodò su una coperta stesa sulla sabbia, e lei non poteva raggiungerla, quindi rimase seduta su uno scoglio. Il vento rapiva in parte le loro parole, ma Alma non si lasciò scoraggiare. Le raccontò della vita a corte, resa ancora più tediosa dall’arrivo dell’inverno. E le parlò di quanto attendesse il ritorno della primavera, per riprendere a cavalcare nelle campagne e sulle montagne.
La strega ascoltava avidamente quelle parole, dipingendo nella propria mente paesaggi fantasiosi, immaginando le follie dell’entroterra.
«Quando l’acqua sarà più calda e i fiumi sverneranno, risalirò i flutti e potremo incontrarci nei campi di cui mi hai parlato» decise. «Voglio assaggiare le bacche del bosco».
«Le cercherò per te. Ti porterò un cestino pieno. E le mangeremo sulla riva del fiume, accompagnate da un vino dolce».

Quando venne la bella stagione, cercò di salire in superficie ogni giorno, almeno per qualche ora. Un pomeriggio scoprì la fanciulla dentro con l’orecchio poggiato a una conchiglia. La osservò incuriosita e solo dopo qualche minuto Alma si accorse della sua presenza.
«Non ti ho sentita arrivare.» Soppesò il guscio con delusione. «Le conchiglie portano il suono del mare sulla terra. Ho pensato che, ascoltando con attenzione, forse ti avrei trovata».
Lei si scoprì a sorridere divertita. «Quello che senti accostando l’orecchio non è il mare, solo il suono dell’aria che passa attraverso la conchiglia».
«Oh» mormorò la fanciulla. «Sai così tante cose. Come i maestri di corte».
«Tu conosci molte cose a me ignote».
«Ignote perché non le hai mai viste. Io, invece, sono solo ignorante» ammise. «Mio padre non spreca il tempo dei maestri con me, ritiene che una donna non ne abbia bisogno. Mio fratello dice che studiare è noioso, comunque» sospirò. «Almeno mi hanno insegnato a leggere. I libri, a volte, aiutano a spezzare la monotonia».
«Non ho mai chiesto il permesso di studiare». Se lo era semplicemente preso. Nessuno, in ogni caso, si curava di cosa lei facesse.
«Forse dovrei seguire il tuo esempio» ponderò l’amica. «Pensi che il tuo filtro potrebbe dare una coda di pesce anche a me?»
«Suppongo di sì. Ma perché vorresti berlo? Per diventare una sirena, dovresti rinunciare alla tua anima immortale».
Il volto della fanciulla era privo d’espressione, remoto e pallido. «Non sembra un prezzo troppo alto per trecento anni di libertà. E saremmo insieme».
Lei si scoprì a stringere i pugni, combattendo il desiderio egoista di gridare “Sì! Vieni con me!” e scosse il capo, allontanando quel pensiero malvagio. «Sarei un’amica davvero meschina se ti permettessi di farlo. Non voglio essere complice di un simile destino. Preferisco pensare che vivrai per sempre».
«Ma dopo la mia morte saresti di nuovo sola».
«Sono abituata a essere sola».

«Ho qualcosa per te» annunciò la fanciulla, offrendole un fazzoletto di seta chiuso da un fiocco. Scostando i lembi di stoffa, scoprì uno splendido pettine d’avorio e ametiste. L’amica le raccontò che le pietre preziose venivano estratte dal ventre della terra e che l’avorio proveniva dalle zanne di creature grandi e placide come balene, che vivevano dall’altra parte del mondo. Poi glielo sistemò tra i capelli di madreperla.
«E ti ho portato un’altra cosa» continuò Alma, estraendo dalla tasca quello che parve alla sirena un piccolo ovale di luce, largo quanto il palmo della sua mano. «È uno specchio. Riflette come la superficie dell’acqua, ma meglio. Guardati».
Lo specchio le parve una finestrella da cui si affacciava una creatura dalla pelle e dai capelli bianchissimi. Gli occhi neri erano grandi e la bocca aveva la stessa tonalità viola pallido delle ametiste nel pettine. Le servì qualche attimo per realizzare che quella creatura era lei stessa.
«Riesci a vedere quanto sei bella, ora, mia cara Strega?»
Ma lei scosse il capo. «Il problema non è qui» rispose, indicando se stessa dalla testa ai fianchi di donna.
«Padre Hans dice che il Signore è infallibile. Pertanto, il tuo aspetto deve avere uno scopo. Sei esattamente come Lui ti ha voluta. Non può esserci nulla di sbagliato in te».
«Le sirene non hanno un’anima» le rammentò. «Non conosco il tuo Signore, solo il Re del Mare, e so per certo di non piacergli». Cercò di restituirle lo specchio, ma Alma non volle saperne.
«È un regalo.»
Quindi la strega lo portò con sé, ignara di stringere tra le mani una piccola fortuna.

La scoperta avvenne, come a volte capita con la scienza, in maniera del tutto casuale. Non era certa di cosa avesse tra le mani, poi capì.
Non era nemmeno certa di cosa farne, ma le tornarono alle mente fantasie di boschi verdi e campi di spighe dorate piegate dal grano.
Scrutò le profondità del filtro maleodorante. Non era ciò che aveva a lungo atteso, ciò che aveva passato infinite ore a studiare. Ma era qualcosa. Era di certo qualcosa.

Una mattina salì in superficie e trovò l’amica raggomitolata a terra, le spalle che si scuotevano in un ritmo convulso. Non aveva idea di cosa stesse accadendo, del perché gli occhi della fanciulla perdessero acqua, ma aveva un’espressione tanto afflitta che era impossibile non cogliere il suo dolore.
«Perché sei triste?»
«È accaduto» gemette Alma con labbra tremanti. «Mio nonno ha dato la mia mano. Ha scelto un pretendente per me».
«Chi è?»
«Il secondogenito del regno oltre le montagne, con il quale abbiamo spesso dispute». Si asciugò gli occhi con stizza. «Immagino sia una buona soluzione. Non è nemmeno vecchio. Solo dieci anni più di me. Potrebbe essere molto peggio».
La strega passò con cautela un braccio attorno alla sua schiena. «Lo conosci?»
Alma scosse il capo.
«Forse è la cosa migliore. Tuo nonno non ti concederebbe a una cattiva persona.»
«È solo per rafforzare un legame politico. Quando saremo sposati mi porterà via, nel suo regno, e forse non vedrò mai più questa spiaggia.»
Lei impallidì, sentendosi mancare. Sapeva che un giorno avrebbe perso l’amica, ma non immaginava che sarebbe stato così presto! Scosse il capo, rifiutando quella nozione. «No! Troverò una soluzione. Fuggiremo insieme. Possiamo prenderci cura l’una dell’altra. Non abbiamo bisogno di un uomo. E mi mostrerai tutti i luoghi di cui mi hai parlato. I boschi e le montagne, le campagne e l’acqua dolce…»
«Mia bella Strega del Mare, sarebbe perfetto. Ma tu non puoi camminare».
«Potrei» rivelò in sussurro tremante. «Non so come darci una coda, ma so come ottenere delle gambe».
La fanciulla la osservò attonita, senza riuscire a proferire verbo per un lungo minuto. «Sul serio?»
«Non credo sia reversibile, però. O forse lo è, ma non ho ancora scoperto il modo».
«Non posso domandarti un simile sacrificio! Il mare è la tua casa».
Una casa vuota senza nessuno da cui tornare. Essere uguale agli umani e vivere sulla terra non era un prezzo tanto alto da pagare per stare con la sua sola amica.
«Tu sei la mia casa».
La fanciulla l’abbracciò. «Non abbiamo bisogno di un uomo».

Quella notte, sul fondo del mare si tenne una grande festa. Il Re aveva avuto la sua primogenita – la prima di molte a venire – una sirenetta bellissima e perfetta. E ovunque erano musica e balli, che sarebbero andati avanti per giorni. All’improvviso, però, le grandi porte del palazzo si spalancarono e la strega piombò nel salone. Calò il silenzio. Gli occhi tempestosi osservavano i presenti. Il popolo del mare la accolse come un brutto presagio e prese a mormorare.
Lei sollevò il mento in segno di sfida. «Non vi interromperò a lungo» assicurò all’intera corte. «Sire, zio, i miei auguri per la nascita della mia giovane cugina. Sono lieta di constatare che non è afflitta dalla mia… deformità. Ma non è per questo che sono venuta».
«Per cosa, allora, interrompi questo giorno di festa, ragazza?» intervenne sua madre.
«Sono venuta a dire addio. Sono certa che vi allieterà la scomparsa dell’imperfezione dalla vostra comunità. Prendetelo come il mio dono per la piccola».
Il brusio crebbe per l’indignazione.
«Cosa intendi? Dove andrai?»
«Sulla terra» dichiarò, causando uno scoppio di esclamazioni esterrefatte.
«Follia!»
«È matta, oltre che storpia».
«C’è davvero da stupirsi che la perversità abbia intaccato anche la mente?»
«Auguro alla mia giovane cugina di avere anche solo la metà del mio acume» asserì la strega, e senza un ultimo saluto lasciò la sala, il palazzo e il fondo del mare.

Il sole non era ancora sorto quando arrivò alla loro piccola spiaggia. Presto la sua amica sarebbe giunta con le provviste per il viaggio e si sarebbero avventurate insieme oltre il bosco, verso le montagne.
Nella mano teneva stretta una fiala di vetro. All’interno, una bevanda spandeva luce come una stella. Si stese sulla sabbia e bevve il filtro infuocato in un solo fiato. Subito fu come se una spada a due lame la trafiggesse sotto il ventre e lo strazio si espanse a tutte le sue estremità inferiori. Svenne.
Quando il sole spuntò, si svegliò e sentì un dolore lancinante, ma abbassando lo sguardo scoprì un paio di gambe lunghe e bianchissime, le più belle che una fanciulla avesse mai avuto. Stava ancora contemplandole, quando udì dei passi. Sollevò il volto raggiante, aspettandosi di incontrare gli occhi verdi dell’amica, ma non era lei. Era una donna di mezz’età dall’aria spaventata, che si stringeva nel mantello leggero come se potesse proteggerla dal male, oltre che dalla fredda brezza mattutina.
Lei era tutta nuda e si coprì con i lunghi capelli, considerando l’idea di tornare in acqua e nascondersi tra le onde.
«Sei tu la Strega del Mare?» Quando lei annuì incerta, l’altra riprese: «Sono la balia di Lady Alma, mi ha mandata lei».
«Dov’è? Ti ha mandata a prendermi?»
La donna scosse il capo. «La mia cara bambina è nell’unico luogo dove dovrebbe essere: sulla nave che la porterà nel regno del suo promesso sposo. Ringraziando il Cielo, stavolta ha fatto la cosa più sensibile».
«No! No, non è possibile. Non mi abbandonerebbe così». Dovevano averla scoperta mentre si preparava alla fuga e quindi averla costretta sulla nave. Non c’era altra spiegazione. 
«Voleva che tu sapessi che ieri ha incontrato il suo promesso e deciso di buon grado di seguirlo. Il Principe è famoso per il suo fascino e la sua nobiltà, e la mia cara bambina ha compreso subito che le voci erano veritiere. Si è innamorata subito» raccontò. «Era comunque molto triste di partire senza preavviso, avendoti promesso di incontrarvi qui. Per questo mi ha fatto giurare di cercarti». La balia aggiunse qualcos’altro, parlando del fatto che il castello dove la sua cara bambina avrebbe vissuto da quel momento in poi aveva accesso diretto al mare, ma lei non stava più ascoltando. Non riusciva a sentirla, le orecchie assordate dal battito frenetico del suo cuore, il petto trafitto da un dolore che non aveva mai provato prima. Sembrava volesse piangere, ma le sirene non hanno lacrime e per questo soffrono molto di più.
La donna, nonostante il terrore, ebbe pietà di quella bella fanciulla così sola e affranta. Si tolse il mantello e lo usò per coprirla. «Vieni con me, bambina. Sono certa che possiamo trovare qualche abito della tua taglia e una tazza di brodo caldo per scaldarti lo stomaco».
Non appena si trovò in piedi, la strega ansimò di dolore. Ogni passo era come camminare su coltelli appuntiti e, ben presto, i suoi piedi neonati si ferirono e presero a sanguinare.

Per quanto li fasciasse e usasse un paio di vecchie scarpe, i suoi piedi continuavano a riempirsi di vesciche, che presto si spaccavano e sanguinavano. Ma imperterrita si mise in viaggio per il nuovo paese della sua cara amica. Non era certa a quale scopo. Assistere al matrimonio? Obbligarla ad assumersi la responsabilità di averla intrappolata sulla terra? Tradita. L’aveva tradita. E a ogni passo, una rabbia sorda cresceva nel suo petto. I suoi capelli pallidi attiravano l’attenzione della gente e lontano dall’acqua divennero presto opachi e sporchi. I suoi occhi così neri destavano sconcerto.
Giunse a destinazione dopo tre giorni. Proprio quella mattina si celebravano le nozze. La cattedrale era stipata e le fu impossibile assistere alla cerimonia, ma vide gli sposi quando uscirono sul piazzale, le mani ancora legate insieme e i volti raggianti. Il Principe era davvero molto bello. Aveva anche lui occhi neri.
La capitale era in festa, le porte del castello spalancate. Non le fu difficile introdursi nel fortino e nascondersi in una stanza. Quando calò la notte e gli sposi si ritirano, continuò ad attendere fino alle prime ore del mattino, poi superò una guardia assopita di fronte alle camere dei novelli sposi e si intrufolò all’interno. I suoi piedi fasciati non producevano alcun rumore sul pavimento. In mano stringeva un coltello rubato nelle cucine. Tra le cortine del letto, scorse la fanciulla stretta tra le braccia del nuovo marito.
Tu mi hai fatto questo. Mi hai fatto credere che tenessi a me, e mi hai ridotta così. Il coltello calò e si infilzò nel cuore della fanciulla, che sussultò una singola volta e morì. Il sangue caldo schizzò e bagnò le gambe e i piedi della strega.
Il principe si svegliò di soprassalto, in tempo per vedere una figura pallida come un fantasma accanto al letto e l’orrore di un groviglio di enormi tentacoli agitarsi tutto attorno. Poi la strega lo colpì alla tempia con il pomolo del coltello e l’uomo perse i sensi. Lei si gettò dalla finestra, che calava a picco sul mare, e l’acqua la inghiottì.

Su per un fiume ribollente, nell’acqua sporca di una palude, sorgeva una casa fatta con ossa di uomini caduti sul fondo. La strega le aveva raccolte una per una, personalmente. Il popolo del mare fingeva che non esistesse. Come del resto aveva sempre fatto. A lei non importava.
Fu lì che la Sirenetta la trovò più di vent’anni dopo, e la Strega rise conoscendo il desiderio del suo cuore. Rise mentre la metteva in guardia sugli effetti del filtro, che conosceva bene.
Tagliandole la lingua ammutolì la voce più bella degli abissi.
Rise quando, più avanti, mise in mano alle sorelle della Sirenetta il coltello – lo stesso che lei aveva rubato dalle cucine del castello – per uccidere il bel principe.
Tagliando loro i capelli sfregiò le più rinomate bellezze dei fondali.
Sapeva che la giovane non aveva il fegato di farlo, sapeva che il popolo del mare non avrebbe mai più visto la sua figlia più amata.
Con quella lingua e quei capelli avrebbe potuto ottenere la coda a lungo agognata. Non le importava più ormai.
Era felice di essere sola.


L’autrice

Letizia Loi, Cagliari, classe 1990. Appassionata di arte e letteratura, disegna e scrive da quando era bambina. Predilige il genere fantasy, ma il suo interesse spazia dal giallo, allo storico, alla fantascienza. Lavora come office manager, mentre continua a scrivere e fare ricerche per saziare la sua incurabile curiosità.
A marzo 2022 il suo racconto breve Novecento Buoni Motivi (Lite Editions, 2013) è stato drammatizzato da Giacomo Gamba con il titolo Il segreto di Holmes e portato in scena da Elena Guitti e il Piccolo Teatro di Brescia.
A novembre dello stesso anno è uscito il suo primo romanzo, Contos – Racconti Attorno al Fuoco edito da Letterelettriche, a cui farà seguito il secondo volume della dilogia nell’autunno 2023.
Nel 2023 il suo racconto Ars Vincit Omnia ha vinto il primo posto del contest stagionale di Scripta a tema Maschere, e il racconto Il Cuore dell’Alchimista ha vinto il Premio della Critica Sezione Over 18 Fantàsia del concorso ScaraBIMBOcchio.
Ha una sua pagina su Facebook: Racconti Attorno al Fuoco.