Devo andare avanti. Ma è possibile andare avanti, se non ricordo da dove provengo? Posso solo seguire il percorso che Durlina traccia per me: è lei che ricorda al posto mio, è lei che mi inietta ogni giorno quel senso di ecco chi sei dritto nel cervello. Ah, il cervello: efficace e perfetto, sì, fino a quando non comincia a chiedersi dove siamo finiti? e non riesce a trovare una risposta.
Durlina non si è ancora attivata, oggi. Di solito quando mi siedo sul divano lei è già lì che emette i primi bip e si disconnette dalla postazione di carica. Ma non oggi.
C’è un libro sul tavolinetto del salotto, proprio di fronte al divano. È un libro di carta. Giro il capo verso Durlina, ma lei non ricambia lo sguardo. Lo schermo LCD che ha come faccia è ancora spento, c’è solo una sorta di barra di caricamento che mi dice che è in procinto di avviarsi. Un libro di carta, hm? È il manuale di Durlina. Perché è qui? Non mi pare di
Devo essermi addormentata. No, spero di no. Cosa stavo facendo?
«Buongiorno, signorina Fiorella.» È attiva, adesso. I suoi passi, il cigolio delle sue giunture. L’aspirapolvere integrato nel suo corpo che emette quel familiare ronzio.
«Ciao, Durlina.» Il manuale, sì. Però non c’è più. «Hai messo tu— no, lascia stare. Come stai?»
«Meravigliosamente, signorina Fiorella.» Della ruggine si stacca dalla guarnizione del ginocchio: la assorbe col braccio aspiratutto. «Ha dormito bene?»
«Non proprio.»
«Dormire è salutare.»
«Punti di vista. Ne abbiamo già parlato.»
Si ferma di fronte alla vetrinetta con la tv. «Ne abbiamo parlato?»
«Credo di sì.» Distendo le gambe sul divano, mi copro sino alla pancia. «Raccontami un po’ della mamma. Riprendi da dov’eravamo arrivate l’ultima volta.»
«Certo.» Rallenta, si china per alzare il tappeto e aspirare granelli di sabbia: come finiscano dentro casa è un mistero. «Qualche curiosità particolare, signorina Fiorella?»
«Sì, però prima dobbiamo rendere chiara questa cosa: non farmi addormentare, d’accordo? Vieni a svegliarmi, se serve.»
«Ma dormire è—»
«Durlina, per cortesia.» Mi prude il cranio. Dentro, a fondo. Non posso dormire. Non posso spegnermi e riaccendermi, perché io non sono come lei, il mio hard disk è tutto sfasciato. «Hai capito, Durlina?» Drizzo il capo. «Cosa c’è, adesso? Rispondimi.»
«Pensavo a sua madre, signorina Fiorella. A come dormivate assieme sul divano e io passavo per mettervi la copertina addosso. Che beatitudine, sui vostri volti. Avevo tutte le dita funzionanti, al tempo. Era facile accarezzarvi.»
«Dormivamo assieme?»
«Sì, signorina. Sempre.» Smette di pulire, spegne l’aspirapolvere del braccio. Va alla propria postazione di carica ed equipaggia lo spolverino. Sfilacciato, mezzo bruciacchiato. «Posso riprendere la storia?»
«Sì.»
«Sua madre mi aiutava a pulire casa, ed era molto strano. Era come se non si fidasse di me, magari pensava che non fossi capace di notare la polvere sugli scaffali più alti, o che la bocchetta del mio aspirapolvere non riuscisse bene a infilarsi negli angoli. Magari, forse, si sentiva meno madre con me attorno a fare gran parte dei lavori di casa, a cucinare e stendere i vestiti, a controllare la posta e ad accertarmi che il gas fosse chiuso prima di andare a letto e che le luci fossero tutte spente.»
«Perché hai così tante opinioni su di lei? Perché puoi averle?»
«Perché non dovrei, signorina Fiorella?» I due occhi nel suo lcd mutano. Dovrebbero trasmettermi sorpresa, ma io ci leggo una sfida diretta. Durlina lo sa che è lei quella che ricorda, quella che può dormire senza perdere brandelli di sé. Durlina sa che un po’ la invidio.
«E dimmi,» la seguo con lo sguardo, «eri molto amica di mia madre? Come mi comportavo io, con voi due?»
«Non era spesso a casa, signorina Fiorella: aveva molti amici.»
Aveva: quanta miseria in una sola parola.
«Però non è quello che ti ho chiesto, o sbaglio?»
«Mi perdoni.» Il suo LCD si spegne per un attimo. Gli occhi tornano, il sorriso. Non farlo mai più. Resta accesa. «Voglio accertarmi che ciò che sto per raccontare non la metta a disagio, signorina Fiorella: in questa storia è ancora presente suo padre.»
«Saltala. Vai avanti. Voglio sentire della mamma.»
«Stavo dicendo che sua madre mi aiutava a pulire. Parlavamo, e anche spesso. Mi chiedeva di lei, signorina, se mi sembrava che lei fosse felice o se la perdita di sua padre avesse influ—»
«Ti ho detto di non nominarlo, Durlina.»
«Ma lui fa parte della—»
«No. Non ricordo niente di lui. Sparito. È chiaro?»
Mi fissa. Smettila, schifoso robot. Smettila di mettermi alla prova!
«Signorina Fiorella, se posso permettermi: lei non ricorda neanche di sua madre, però questo non significa che sia sparita anche lei.»
«Vuoi che chiami la ditta per farti formattare?»
«Non può formattarmi, signorina Fiorella.»
«Posso eccome.»
«Ma così facendo perderebbe tutto.» Passa lo spolverino su un mobiletto. «Io le voglio davvero bene, signorina Fiorella. Mi permetta di restarle sempre accanto e mi permetta di raccontarle sempre storie sulla sua infanzia e su sua madre. Me lo permetta.»
«Dimmi una cosa, invece: mi pare di intuire che mi avete cresciuta assieme, è vero?»
«È vero, sì.»
«Com’era la mamma quand’era incinta di me?»
«Felice.»
«Quanto?»
«Non saprei dire, signorina Fiorella. Non sono in grado di calcolare cosa si provi in quelle circostanze.»
«Voglio sapere se mia madre mi chiamava già per nome, se mi accarezza attraverso la pancia, se ha mai pensato di abortire o se si è pentita di avermi avuta perché sono difettosa. Voglio sapere tutto.»
«Farò del mio meglio per reperire quelle informazioni.»
Mi distendo sul divano. «Durlina, non hai paura ogni volta che ti connetti alla carica? Non hai paura di risvegliarti e non essere più tu?»
«Ho questa paura, signorina Fiorella.»
«E come fai a dormire lo stesso?»
«Penso a lei, signorina, al fatto che devo ancora raccontarle tantissime cose su sua madre.»
«Ti voglio bene, anche se non sembra. Lo giuro.»
«Ci credo.»
«Lo giuro, Durlina.» È impossibile non piangere. È impossibile. Vorrei che
No! Di nuovo. «Durlina!» Non c’è. Dov’è? Ho la copertina addosso.
Mi alzo dal divano. Sono ancora io. Mi sono svegliata e sono ancora qui, in questo corpo e con questa mente. Nessuna nuova perdita di memoria. Sono qui.
Durlina, invece, è in cucina. È ferma davanti al frigo.
«Ehi.»
Non si volta.
«Durli—» È spenta. Spenta e lontana dalla postazione di carica. «Mi senti? Accenditi. Durlina, per favore parlami!» La scuoto. Pesa. «Che fai, scherzi? Ehi.»
Lo schermo LCD del suo viso si illumina.
“Riavvio in corso.”
Oh no. No. Perché?
“Riavvio fallito. Forzare riavvio? y/n”
Che stai facendo? Prima funzionavi. Hai detto che avresti funzionato per sempre perché dovevi raccontarmi tutto. Per favore. Io non so che fare senza
«Durlina!»
Niente. Silenzio. Il libro di carta è sul— il manuale. Perché è lì? Il manuale di Durlina. Cartaceo. Lei è un vecchio modello. Un manuale? Di solito è qualcosa che si usa quando bisogna risolvere qualcosa. Ma non c’è niente da risolvere.
Il manuale è sempre lì. È aperto a pagina novantasei, sezione “Risoluzione problemi”. Non c’è nessun problema, ho detto! L’ho detto? Durlina. svegliati e dimmi chi sono e cosa devo pensare. «Aiuto, io non
Accanto al manuale c’è il mio tablet, tre tazzine di caffè e il cellulare. Sporgo il capo oltre l’arcata della cucina. Durlina è ancora lì. Ferma. No.
Prendo il cellulare, c’è il resoconto dell’ultima chiamata che ho fatto ancora sullo schermo. Non conosco il numero.
Nel manuale la voce “Formattazione” è sottolineata. Alzo il libro: sotto di esso c’è un evidenziatore giallo che non riconosco, ma dev’essere mio.
Accendo il tablet, si apre una pagina di note con un elenco:
- Formattare la macchina potrebbe essere una buona opzione un’opzione di merda ecco cos’è stronzo
- Il modello è paleolitico, dice questo tizio, come quei vecchi computer che ogni tanto andavano riavviati a forza. Mica mi ricordo. Non ero manco nata.
- Pigiare assieme i due tasti sul
- Potrebbe essere possibile un backup sarebbe da tentare.
- Il tizio dice che la macchina è troppo vecchia e potrebbe non È chiaro che questo tizio non capisce un cazzo Durlina adesso si sveglia perché sì
Chi ho chiamato, esattamente?
C’è il sottile e dolcissimo sibilo dell’aspirapolvere. Il respiro di una mamma.
«Durlina?»
«Mi dica, signorina Fiorella.»
«Sei tu.»
Si ferma, mi osserva. I suoi occhi elettronici lampeggiano sullo schermetto LCD. È pensierosa. «Sono io. Certo.»
«Parlami della mamma, per favore. Qualsiasi cosa che la riguardi.»
«Certo.»
«E allora? Dai!»
«Un attimo di pazienza, signorina.» Troppi bip.
Mi rannicchio sul divano. «Ti sei riavviata?»
«No. Lo ricorderei.»
Falso. Non è vero. Non ricordiamo mai quando accade.
«Ecco: ho una storia per lei.» Riprende a girare per il salotto in cerca di vetrinette da lucidare e polvere da assorbire. «Sua madre amava…»
Ronzio statico.
«Cosa? Durlina, cosa amava?»
La sua faccia lampeggia. «Devo farle da mangiare, signorina Fiorella? È già ora?»
«La storia.»
Bip. Biiiiiiiiip. «Sì, certo. Sua madre una volta ha litigato col commercialista e mi sembra che fosse per una questione legata al… motorino. Motorino di qualcosa. Certo, certo. Lei, signorina Fiorella, aveva un motorino. E credo glielo abbiano rubato e—»
«Cosa c’entra il commercialista, allora?»
«L’avvocato, infatti. Quale commercialista, signorina?»
«Durlina smettila, non fai ridere.»
«Signorina, lei lo sa che sono pessima a fare battute. Era sua madre che riusciva a farci sorridere tutte e tre.» Si guarda attorno. Cigola, tentenna, un pistoncino sembra perdere olio lungo il braccio. «Sua madre deve ancora rientrare?»
«Smettila! Ho detto che non
Sono a letto. Dove, però? Che casa è questa? Che vita è questa?
Dormivo sul tappeto del salotto. Devo andare in bagno. Mi calo i pantaloni e faccio per sedermi: c’è polvere sulla tavolozza. Strano. Durlina spende ore a sistemare qui dentro.
«Durlina, lo hai fatto il bagno?»
Qualche bip. Si è sconnessa dalla carica. «No, signorina.» La sua voce è sempre più distante.
«Dove sei? Vieni qui, ti faccio vedere cosa hai dimenticato.»
«Un attimo, sto ricalcolando il percorso.»
Ricalcolando. È casa nostra.
«Durlina, oggi mi racconterai una storia sulla mamma, vero?»
«Certo.» Eccola: è sulla porta del bagno.
Tiro lo sciacquone e le vado incontro. «Stai bene?»
«Meravigliosamente, signora Fiorella.»
«Raccontami una storia che ti è rimasta impressa.»
Bip. «Una qualsiasi?»
«Sì. Dai. Ti ascolto.»
China di poco il capo, lo schermo sfarfalla. «C’è stato un giorno, signorina, in cui sua madre ha urlato molto forte e ha pianto in modo strano, un modo che non pensavo fosse possibile per voi umani. Quel giorno lei, signorina Fiorella, era riversa a terra nella cameretta e c’erano sul letto tanti flaconcini di pillole.»
«Non è—»
«Quel giorno, signorina Fiorella, lei si è spenta e riaccesa come di solito facciamo noi robot. Ma a differenza nostra, quando ha aperto gli occhi non funzionava più come prima. Questa storia, signorina Fiorella, mi è rimasta molto impressa. Credo che sia stato il giorno più brutto dalla mia attivazione.»
«Ho tentato davvero di suicidarmi?»
L’altoparlante vocale di Durlina scricchiola. «Mi prenderò io cura di lei, signorina Fiorella. Per sempre.»
«Perché non me lo hai mai detto?»
«Mi ha sempre chiesto di sua madre, signorina.» Si gira, come a voler uscire dalla porta del bagno: sbatte contro lo stipite. «Dovrebbe chiedermi più di sé stessa. È la sua memoria, signorina, che definisce chi è, non quella di sua madre.»
Ma che dice? Come si perme
Sarà vero che sono morta e rinata? Sarà vero?
Durlina è ferma di nuovo in salotto, paralizzata. C’è scritto “Riavvio in corso.” sulla sua faccia. Quando ha iniziato? Mi lascia sola, ecco cosa vuole fare. Se si spegne potrebbe non riaccendersi mai più.
«Durlina, smettila. Smettila di fare così!»
Non mi ascolta.
È proprio vero, quello che ha detto. Chi sono, adesso? Chi ero prima? Il riavvio è al novantanove percento. Forse io e te siamo entrambe dei computer vecchi, che dici, Durlina? Riposare e ricaricarsi dovrebbe essere un processo salutare. Ma io e te non funzioniamo. Se io e te chiudiamo gli occhi, ci sono buone possibilità di dimenticare tutto ciò che siamo. Ci dobbiamo fidare dei nostri cervelli, che scelta abbiamo?
Durlina, quando quella barra di caricamento sarà completa, potrai ancora raccontarmi della mamma? E io vorrò ascoltarti?
Sono ancora sul tappeto. Di fianco a me il manuale di Durlina, il tablet con l’elenco puntato: l’ho aggiornato, parrebbe.
- Aspettare il riavvio e premere i due tasti sulla nuca sotto il modulo capelli (se presente).
- Rilasciare i tasti: il robot dovrebbe essere ora in modalità recupero.
- Selezionare l’opzione Formatta e attendere il completamento dell’operazione.
- Immettere nome utente e nome robot. Attendere configurazione sistemi.
Non ti stavi riavviando. Non ti sei mai riavviata. Ti ho uccisa? Ti ho salvata? Adesso chi mi racconterà di mia madre e di me? Se non so da dove vengo, come posso andare avanti? Voglio, poi? E se volessi stare qui, adesso? Durlina, il mio cervello si rifiuta di dirmi cosa fare. Dimmelo tu.
Durlina, sei ancora tu? Io di te non voglio dimenticarmi mai.
«Signorina Fiorella, mi racconti una di quelle storie sulla signora Durlina. Mi piacciono molto.»
L’autore
Giovanni Attanasio, classe ‘91, siciliano, si domanda sin da bambino cosa e di cosa bisognerebbe scrivere. La risposta arriva col tempo: scrivi ciò che vuoi, gli altri se lo faranno piacere. Appassionato di narratologia e critica e teoria letteraria, è convinto che se è vero che la scrittura è arte, non si può negare che sia pure scienza. È attivo su Instagram, pubblica racconti brevi e sperimentazioni sul proprio sito, è uscito sul terzo volume della rivista speculativa indie Alkalina e ha partecipato alla raccolta Villains edita da Watson Edizioni.
Illustrazione di copertina di Carlotta Contino
Un pensiero su “Dimmi chi sono”
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