Naomi spalanca la porta della sala d’aspetto. Nella stanza ci sono un uomo in giacca di pelle e occhiali neri – non è interessato a lei, la testa china sul suo telefono – e una signora con un cappotto beige e capelli biondi e riccioluti – solleva appena il mento e le rivolge un sorriso a metà.
Da dietro, suo padre la sospinge dolcemente. Naomi entra.
Le file di sedie contro le pareti fanno il giro della stanza. Una fila dà le spalle alle vetrate che affacciano sulla strada. Naomi avanza fino a sedersi al centro. Ettore occupa la sedia a fianco e mentre siede emette un gemito di spossatezza.
Naomi ricomincia a osservare la stanza in cui sa che dovrà aspettare per molto tempo – troppo. È appena arrivata e già vorrebbe avere la libertà di poter uscire, andarsene, tornarsene a casa. Vorrebbe che questa brutta storia fosse finita.
In mezzo c’è un ampio spazio fatto solo di piastrelle bianche. Sul lato sinistro un bancone bianco con uno schermo, un portamatite, una pila di foglietti di carta e un barattolo pieno per metà – forse di caramelle consolatorie.
Il muro dietro al bancone è ricoperto di specchi che riflettono le luci fredde dei bulbi incassati nel soffitto. C’è anche un espositore quadrato e, subito accanto, una porta in metallo, chiusa. Anche l’angolo sulla destra è occupato da espositori.
Tutto quel bianco le fa pensare al dentista. Un’impulsiva, sgradevole sensazione di malattia e dottori in camice, e odore di disinfettante – che in realtà, per fortuna, non c’è.
Il climatizzatore infonde sulle loro teste il suo sollievo refrigerato. Fuori ci sono trentacinque gradi e un’umidità sfibrante. Suo padre ha le pezze sotto le ascelle. Lei ne ha una più discreta sulla schiena e una sul petto, ma nel suo caso la colpa, prima ancora che il caldo, è l’ansia.
Suda da quando è successo, a metà mattina. Sebbene lo percepisca come sudore freddo, la t-shirt con la stampa di Justin Bieber, se potesse parlare, avrebbe da dire la sua a riguardo. In ogni caso i meccanismi del sudore non sono qualcosa che ora può scuotere il suo interesse. C’è una tempesta che sta imperversando sopra e sotto la sua pelle.
Nella mano stringe l’Iphone. Passa istintivamente il pollice sullo schermo, sui bordi, sui pulsanti. Tastarlo le dà conforto. È sconvolta e perciò ha bisogno di conforto, ha bisogno di aggrapparsi anche al più insignificante dei dettagli. Per esempio il fatto che i due pulsanti volume su e volume giù sono divisi da una microscopica fessura, o che la loro lunghezza è esattamente la stessa dell’unghia del suo pollice.
Ha bisogno di sapere di essere ancora lì, che tutto è ancora in gioco. Che sta solo aspettando il suo turno nel grande meccanismo che determina la vita e la morte, il passato e il futuro, la memoria e l’oblio.
Suo padre percepisce il suo stato d’animo, la sua tensione. Per questo le posa una mano sulla spalla e la stringe con delicatezza. È il gesto con cui tenta sempre di tranquillizzarla. Niente è perduto – dice – tutto si aggiusterà, vedrai, è normale, sono cose che capitano. Anche io sono finito in ospedale, tempo fa, dopo l’incidente alla gamba, ricordi? Mi sono tirato addosso quella cassa gigantesca come un vero imbecille.
Naomi annuisce senza dire niente né alzare la testa. Non vuole dargli dispiacere, gli vuole bene e sa che lui ne vuole a lei anche di più. È suo padre, la ama, la protegge, cercherebbe di tirarle su il morale anche nel giorno dell’apocalisse.
Ma oggi non ci riesce. Lei non sa cosa dire o quale espressione tenere, a parte quella che ha già, chiusa e imperscrutabile. La storia del suo incidente con la gamba, ecco, beh, non è la stessa cosa, ma lui non capirebbe. Preferisce tacere e aspettare finché tutto sarà finito, in un modo o nell’altro.
Allora, se le cose vanno male, lascerà che il padre provi a sollevarla e a farle dimenticare quella giornata. Ma per adesso nulla è stato deciso.
Naomi non può fare altro che percorrere con gli occhi le sottilissime venature delle piastrelle di finto marmo. Sono talmente lucide e pulite che le basta sporgersi dalla sedia per vedere i suoi lineamenti riflessi sotto le sue scarpe. Sono offuscati da una patina grigia, un velo nebbioso, e la prima cosa che pensa è che è reale, quel velo, esiste, e il pavimento è uno specchio, l’unico specchio veritiero capace di mostrarlo.
La patina la avvolge, e avvolge l’uomo con la giacca di pelle e la signora riccioluta. È il velo della sospensione, del nulla è stato deciso, del grande meccanismo che li ha messi in attesa, e li trattiene tutti in quella sala, ancorati a quelle sedie.
Li lascerà andare soltanto quando potranno uscire e dimenticare.
***
Prima
Accade all’improvviso, senza avvisaglie. Lo perde di vista per circa quarantacinque minuti, il tempo della lezione di geografia. È silenzioso come sempre, riposto nella tasca dei jeans. Appena suona l’intervallo, Naomi si alza e lo estrae.
Vuole inviare una faccina sorridente e un cuoricino a Sara per ringraziarla dei suggerimenti che le darà per la verifica di mate. Sono entrambe tese per l’esame imminente, e Sara lo è in modo particolare. È una secchiona ma è anche insicura – e Naomi è convinta che le due cose siano collegate per qualche inspiegabile ragione. Così si sostengono a vicenda come meglio possono.
A differenza degli stereotipi dei secchioni che vede in tv, Sara è molto bella. Fisico atletico, capelli soffici e castani. Più bella di lei, questo è certo, e sembra già più grande della sua età.
Si è trasferita da Pavia a Milano l’estate prima ed è entrata alla Tommaso Grossi frequentata da Naomi. Le loro classi, 3A e 3B, sono sullo stesso corridoio, al secondo piano. Si sono conosciute all’intervallo il primo giorno di scuola e dal primo istante hanno avvertito una sintonia particolare, come se vibrassero alla stessa frequenza.
Da qualche settimana Sara le scrive quasi a ogni ora. A Naomi fa piacere tutta questa attenzione da parte sua e prova piacere nel risponderle. A volte prova uno strano calore fisico nel trovarsi improvvisamente a pensare a lei e rispondere ai suoi messaggi, persino per banalità come parlare delle canzoni che hanno ascoltato la sera prima.
Crede di amarla e di essere ricambiata, ma non sa bene cosa questo significhi e non è disposta a parlarne finché i suoi sentimenti non le saranno più chiari. Con nessuno, neanche con i suoi. Vanno a messa tutte le domeniche – e lei assieme a loro – e sono piuttosto rigidi riguardo cose come la famiglia. Se ne parlasse, si creerebbe una spaccatura impossibile da rimarginare.
Naomi solleva lo schermo e lo sfiora col pollice per sbloccarlo. Intuisce subito che qualcosa non va. Non c’è nessun nuovo messaggio, nessuna nuova notifica.
Nell’ora precedente Sara ha fatto la verifica di mate. L’ora successiva lo stesso compito, o uno molto simile, tocca alla sua classe. Si sono messe d’accordo: al cambio d’ora Sara le manderà qualche risposta. Naomi non è molto brava nelle materie scientifiche, va meglio in quelle umanistiche. Contraccambierà con qualche dritta sulla verifica di storia la settimana prossima.
D’istinto il suo pollice si posa sull’icona di WhatsApp e la preme. Deve almeno sapere se Sara è connessa. Se non lo è, deve sapere quand’è stata l’ultima volta in cui l’ha fatto. Conta su di lei oggi più che mai. L’ultima verifica dell’anno è determinante per la media, e Sara sa quanto Naomi ci tenga ad alzarla. Perché non le ha scritto? Dev’essere per un motivo grave. Non ha mai mancato di farlo. Che il prof le abbia ritirato il cellulare?
WhatsApp non si è ancora aperto. Preme di nuovo l’icona. L’app non dà segni di vita. È lì lì per rifarlo una terza volta ma lo schermo diventa buio. Succede così, di botto.
Protesa sul banco, immobile, Naomi fissa stupefatta il rettangolo nero. Passa il pollice su e giù, ogni volta con più forza. Lo schermo rimane spento. Preme ripetutamente il pulsante di avvio. L’Iphone non reagisce in alcun modo.
Naomi continua a guardarlo inebetita. La prof di geografia sta uscendo. I compagni cambiano i libri, si spostano tra i banchi, escono, gridano, scartano merendine. Intorno a lei si muovono lentissimamente, come una di quelle zebre che si vedono scappare dai leoni al ralenty a SuperQuark.
Mattia la sta osservando dal banco di fianco. Ha una smorfia che mescola il perplesso e il divertito. Sta per dire qualcosa, o la sta già dicendo, ma le sue labbra si muovono senza scopo. Mattia le è sempre stato antipatico e in quel momento lo odia profondamente.
Sta tenendo premuto il tasto di accensione da più di trenta secondi. La convinzione di aver inavvertitamente spento l’Iphone con una mossa sbadata appare e scompare dalla stazione deserta che è la sua mente come un treno ad alta velocità.
Con dita molli cerca la chiusura della custodia posteriore. La aprirà, sfilerà la batteria e la reinserirà, come ha visto suo padre fare con quel catorcio di telefonino che si ostina a tenere.
Non trova alcuna fessura. La plastica è sigillata, fusa in un singolo pezzo.
Allora le sale il panico. Il suo corpo scatta in avanti, oltrepassa la fila di banchi e quasi travolge Ishma. La compagna le scocca un’occhiata sbigottita. Co-cosa succede – chiede, senza riuscire ad arginare il suo principio di balbuzie. Le capita sempre quando qualcuno – di solito un prof – la sorprende con una domanda o un’osservazione.
Prestami il cellulare – dice Naomi – devo chiamare mio padre, è un’emergenza. Qualcosa nel suo sguardo convince Ishma a rispondere okay senza altre domande, figurarsi obiezioni. Sfila il suo smartphone dall’astuccio – oddio, è vero che ha ancora quel Nokia preistorico – e glielo porge.
Naomi digita il numero e chiama. Il padre risponde dopo pochi squilli. Lei spiega la situazione. Lui si dimostra comprensivo nel tono ma dice di non poter uscire da lavoro in anticipo per una cosa del genere. Le dice di tenere duro fino all’uscita da scuola, che poi andranno al centro assistenza.
In quel momento il prof Castigliani entra in aula con il plico di verifiche sottobraccio. Naomi restituisce il telefono a Ishma borbottando un grazie e torna al suo banco. Appoggia l’Iphone e lo guarda giacere sul legno come una creatura morta. Tenta un’ultima volta di farlo rinvenire, invano.
Pssst, ehi – bisbiglia Lorenzo dal banco dietro – prova con un hard reset. Lei gira la testa a metà. Un hard reset, hai presente? Lei scuote la testa. Per ripristinare le condizioni di fabbrica – fa lui – devi premere una combinazione di tasti. Se vuoi lo faccio io. Dammelo.
Naomi ha un solo pensiero: oh mio Dio. Strofina i polpastrelli sui pulsanti. Ha bisogno di Sara. Adesso. Non per sapere cosa rispondere alle domande di matematica, ma per raccontarle tutto, averla accanto, sapere cosa farebbe lei. Ma Sara è irraggiungibile.
Reset. La parola tuona nella caverna buia della sua mente. Vorrebbe piangere lì davanti a tutti.
No – fa un cenno della testa a Lorenzo – fa niente, grazie. Se dovranno proprio farlo – pensa – lo faranno loro. È meglio così.
***
Adesso
Naomi muove le ginocchia in modo compulsivo, gli occhi incollati alla maniglia della porta mangiafuoco in fondo alla sala. Non fa altro che immaginare il momento ruoterà dall’interno.
Il bianco non la porta a pensare solo alla malattia e ai dottori, ma a qualcosa di peggio. Predestinazione, fatalità. Ma a compensarle c’è la mela color argento che brilla sul davanti del bancone. Infonda in lei – in tutti loro, ne è convinta – la speranza che le cose si risolveranno per il meglio, e la gratitudine per tutto ciò che le è stato dato e che ancora le verrà dato.
Nel seguire il contorno della mela, la sfiora una comprensione primordiale del mondo spirituale che esiste oltre i confini del corpo. Non sa spiegarsi come o perché, eppure è così. Nel palmo della sua mano il dispositivo sembra aver perso tutto il suo peso, è impalpabile come una piuma. Vuoto, inanimato in senso letterale, privo d’anima. Con un’azione meccanica del pollice strofina lo schermo scuro come a volerlo tenere al caldo e mantenere il contatto.
Le ultime ore sono state difficili. Impossibile seguire le lezioni, men che meno concentrarsi sui quiz di matematica. Ha consegnato mezzo compito in bianco e l’altra metà è quasi sicuramente sbagliata. Si è giocata la possibilità di migliorare la media. Una prospettiva priva di importanza, appartenente a un livello di realtà a cui ora non ha accesso.
Impossibile anche incrociare lo sguardo dei compagni. Loro sapevano, avevano capito – non solo Lorenzo, tutti. I loro occhi puntati addosso, ora dopo ora, e nei cambi d’ora. Così si è chiusa in se stessa, rannicchiata sul suo banco. Si è sentita intrappolata al centro di una sfera nera – nera come lo schermo nella sua tasca – in cui non entrava e da cui non usciva nulla.
Potrebbe comprarne un altro, potrebbe chiederne uno nuovo in regalo e i suoi glielo comprerebbero. Ma è mostruosa l’idea di sostituirlo così. Spregevole. Ci sono tutti i suoi pensieri, dentro. Tutti quei pensieri che le sono passati per la mente. Migliaia di parole che ha condiviso, e dietro le parole migliaia di sentimenti e di ricordi del passato e dei suoi amici – di Sara. Ci sono fotografie sulle quali ha sognato – Sara – e ci sono le frasi su cui si è emozionata – di Sara e per Sara.
Abbandonarlo sarebbe come uccidere una parte di se stessa, di ciò che è, che la definisce. E se tutte le foto e tutti i messaggi – e Sara – scomparissero nel nulla? Come potrebbe continuare a vivere serena facendo finta che ci sono stati? Come potrebbe esser certa che siano esistiti per davvero, che abbiano contato qualcosa? E che figura farà con gli altri? Sara la capirebbe, certo, ma lei è un’eccezione. Tutti gli altri? No. Come potrà ritrovare gli amici di cui non ricorda il nome?
No, papà, non è la stessa cosa – pensa – una gamba rotta non significa perdere tutto, una finestra nera sul mondo. Una gamba rotta è solo una gamba rotta, che dopo torna come prima. Farebbe volentieri il cambio con una gamba rotta, o persino entrambe.
Poi c’è un clac metallico e la porta si apre. Naomi balza in piedi. Il suo cuore passa da zero a mille in una frazione di secondo.
In sala d’aspetto fa il suo ingresso l’assistente in camice bianco. Ha un cartellino appeso alla tasca sul petto. Naomi gli corre incontro. Può leggere il suo nome – B. Huang – stampato accanto a una mela argentata.
B. Huang le sorride. Sembra sincero. Le dice di pazientare qualche minuto e sarà subito da lei.
***
Dopo
Di nuovo seduta a fissare la porta. Ettore prende dal marsupio il plumcake che è il suo snack di metà mattina al lavoro. Oggi non l’ha mangiato. Mangia qualcosa tesoro – dice – abbiamo saltato il pranzo. Ti sentirai meglio.
Naomi scuote la testa. La bocca dello stomaco è sigillata. Suo padre riprende ad accarezzarle la spalla. Lo fa con tutta la dolcezza di cui è capace. Se mai tu finirai in ospedale per qualcosa – dice – dio non voglia, ma ora sai come ci sentiremmo io e tua madre. Ma, vedi, è così che funziona, sono momenti della vita da cui non si può sfuggire. Prima o poi capitano a tutti.
Naomi non dice niente ma sotto sotto le è stato di conforto. Si sente meno sola, meno vulnerabile. Nel momento in cui ha dovuto farlo, ha consegnato l’Iphone nelle mani di B. Huang. Anche lei ha compiuto quel gesto con tutta la delicatezza di cui è stata capace. B. Huang non ha mai smesso di sorriderle. È uscito dalla stanza e la porta si è richiusa alle sue spalle.
Si sta riaprendo proprio ora. Naomi scatta in piedi, di nuovo. Il battito accelera, di nuovo. Il profilo di B. Huang attraversa l’uscio. La sua mano stringe un piccolo riquadro luminoso.
Le si spalanca il cuore di gioia. Il sorriso le travolge il volto. Sente di essere sul punto di piangere e ridere contemporaneamente. B. Huang le va incontro. Ecco – dice, sorridente come prima – è tutto a posto.
Consegna l’Iphone nelle mani di Naomi. Il calore che sprigiona è così familiare. Le solletica il palmo. Persino il peso sembra essere tornato quello di prima. Nulla è andato perso. La griglia del PIN attende il suo polpastrello perché tutto possa ricominciare dal punto in cui si è interrotto tre ore fa.
Gli abbiamo dato un cuore nuovo – fa B. Huang – vivrà altri cent’anni. Poi ride. Beh, forse non proprio cento – fa – ma comunque molto a lungo.
Naomi vorrebbe abbracciarlo, vorrebbe persino dargli un bacio, ma si limita a dirgli grazie, grazie, grazie – più e più volte. Grazie davvero – aggiunge Ettore e gli stringe la mano. B. Huang gli porge un foglio e una penna. Ecco il referto – dice. Ettore mette una firma. Arrivederci – dice poi – ciao piccolina.
Mentre va verso l’uscita, Naomi vede la luce dell’esterno irradiarsi sul pavimento cancellando ogni ombra. Può di nuovo stendere le braccia e spaziare. È di nuovo insieme a tutte le cose e le persone del mondo – del suo mondo.
Ettore la sospinge per la spalla, dolcemente, come sempre, e la porta bianca si chiude dietro di loro.
Relazione dell’intervento
Classe di intervento: A) garanzia ordinaria
Dispositivo: iPhone 3GS, A1325, n. serie 618256659845, IMEI 01 342100 870325 5
Esame dell’integrità dell’involucro esterno: nessun danneggiamento
Descrizione del problema: spegnimento improvviso e mancata riaccensione
Descrizione dell’intervento
Inizio ore 14.20
Esame del capo prossimale R5 180 e del capo distale L3 6H. Nessuna lesione interna ai filamenti. Terminals convertiti per controllo del voltaggio
Sostituzione Li-ion Battery 3.82V – 6.55 Whr – APN: 616-00033.
Sutura e chiusura di routine
Fine ore 14.30
Test di ripristino
Risposta ordinaria ad avviamento e spegnimento
Test di forzatura: nessuna ricaduta
Causa identificata: anomala obsolescenza anticipata della batteria
Intervento eseguito da: B. Huang
Laboratorio: Lab 24 autorizzato IT-MI-0024
Data: 27/05/2010
Firma del cliente per accettazione e consegna
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L’autore
Matt Briar nasce a Reggio Emilia nel 1985. Autore di racconti e romanzi di genere fantascientifico, weird e horror, e di saggi e traduzioni musicali. L’era della dissonanza (premio Kipple), Terre Rare (finalista premio Urania), Neil Young. Cercando il nuovo mondo, O2 Non avrai altro ossigeno, e vari altri contributi ad antologie e riviste. Sul web collabora da oltre dieci anni con Rockinfreeworld e NeilYoungTradotto. Nel 2023 ha vinto il premio Hypnos con il racconto Alle Case Vecchie. www.mattbriar.com
